Il cambiamento fallo prima tu!

L’ora legale“, il nuovo film di Ficarra e Picone, lascia in dote tanti sorrisi ma anche tanta amarezza, spunti per riflettere, al di là di una sceneggiatura da pellicola.
La parola chiave è cambiamento, un sindaco “pulito” sfida convenzioni e convinzioni di un Paese impregnato di legalità. L’entusiasmo iniziale e la voglia di rinnovarsi rappresentano una ventata di aria fresca e allora tutti giù in piazza, tutti ad urlare, euforia e tanta buona volontà ma quando ci si trova a rispettare regole che nemmeno ci conosce, subentra il terrore, il nuovo che spaventa, la scomodità di confrontarsi con l’ignoto. E allora ecco come un grande progetto si trasforma improvvisamente in una grane bolla di sapone, anche le migliori intenzioni devono cedere alla pigrizia della gente, alla sete di raccomandazioni, alla fame di illegalità.

Diciamocelo francamente, ci sono realtà che partono con un vantaggio secolare in quanto a illegalità, il crimine è talmente radicato che al cittadino non viene data alternativa, o vivi seguendo determinate convinzioni o muori, perché la tua coscienza ti logora mordendoti pian piano o ammazzandoti perché hai voluto fare l’eroe.
Non è difficile urlare “cambiamento”, non è impegnativo accennare una trasformazione, il primo periodo può essere anche piacevole, tutto sembra funzionare meglio. Bisogna però rimboccarsi le maniche, fare quello che non si è fatto per anni, “stuprare” la propria mente che si ribella. Il difficile viene quando chi si è arreso sin da subito o chi non ci ha nemmeno provato bussa alla tua porta chiedendoti il conto.

Lui è lì, è stato buono per un periodo, ora grida “cambiamento” come tutti gli altri. Accoglie da subito, con entusiasmo, la trasformazione del vicino, pensa di non esser nato  fesso, fa in modo che il mutamento parta da altri. Non ha però fatto i conti con i veri numeri, vede la massa insorgere e fiuta un pericolo per la sua tranquillità. Vuole tornare sotto le sue coperte sicure, non può accettare che tutto intorno ci sia fermento, non è stato interpellato anche se una certa mentalità del Paese gli appartiene.

Siamo tutti affascinati dai “portatori di legalità” ma aspettiamo sempre che siano gli altri a fare il primo passo, non ci pensiamo neanche a fare la differenziata ma poi vediamo che il vicino la fa e ci prendiamo d’invidia, dobbiamo dimostrare di essere anche noi “fighi”, non siamo mossi dai piedi della legge ma dall’ingordigia dell’apparire.
A volte sentiamo un mal di pancia forte, un disagio nella gabbia dell’ingiustizia, urliamo, ne veniamo fuori, ma siamo contaminati, quasi subito, dal virus dell’omologazione.
Spesso scappiamo, in luoghi più civili, senza cercare il cambiamento nella terra che ci ha cresciuto, la lasciamo al suo destino dimenticandola e additandola.
Talvolta rimaniamo, ci sporchiamo le mani e cerchiamo di intervenire per estirpare le radici del male. Sono dure e per un lungo periodo è un lavoro in solitaria, poi siamo in due, in tre e cominciamo a credere di potercela fare.
D’altronde è proprio questo il messaggio che ci vuole dare il finale de “L’ora legale”: la nostra Italia sta messa male, non abbiamo attenuanti e aspettando che il cambiamento parta da altri facciamo la muffa nell’illegalità

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