La Mondello di Borsellino e il fascino della legalità

Potrebbe far anche ridere se fosse un film comico, potremmo anche lasciarci andare ad un po’ di spensieratezza se alla fine ci dicessero: “Era tutta una messa in scena“.
E invece no. Tutto drammaticamente vero.

Angela da Mondello è ormai diventata un fenomeno (da baraccone?), invitata in tutti i salotti d’Italia, in una televisione sempre più scadente con a capo una Barbara D’Urso sempre tanto affezionata a logiche di audience.

Tutto nasce da un’intervista alla spiaggia di Mondello, un “Non ce n’è Coviddi” mentre sfilavano i carri militari con le bare a Bergamo, forse in quel periodo in Sicilia si respirava di più, non si percepiva il pericolo ma l’Italia è una.

Ora addirittura il videoclip di una canzone, girato senza distanziamento e mascherina, in mezzo i problemi con la giustizia della signora, una storia all’italiana che potrebbe chiudersi qui se non ci fosse una suggestione che regala proprio il luogo dove avviene tutto ciò: Mondello

Succede che nel frattempo diventi capo del commissariato un certo Manfredi Borsellino, figlio del magistrato Paolo. Immaginate la scena, un uomo che ha passato quello che ha passato che vede entrare la signora Angela che magari si sarà anche giustificata dicendo che quel video era un tentativo per far dimenticare questo brutto periodo, per alleggerire la tensione e via blaterando.

Succede che gli atti successivamente vengano mandati in Procura perché sussisterebbero profili penali a carico di Angela e del suo agente, sì perché con tanta visibilità una signora del genere non può gestire tutto da sola, ormai è una vip nel panorama nazionale o chiamiamola pure influencer.

Immaginate il vicequestore Borsellino che ha vissuto sulla propria pelle una vera e propria guerra per la legalità che ha dato i suoi frutti in una Palermo ricca di fermento e voglia di affermarsi positivamente, immaginate la sua faccia davanti a così tanto degrado, ad una signora che diventa famosa per il nulla, che diventa “esempio” per tanti giovani sparsi per il territorio nazionale.

Immaginate tutto questo e poi pensate che per la memoria del giudice Paolo Borsellino si deve combattere ogni giorno perché ci si dimentica troppo spesso degli eroi e ci si affeziona invece ai pagliacci, sicuramente “meno impegnativi” nell’immediato ma assolutamente inconsistenti in una logica di società.

Quanto sa essere affascinante la legalità e quanto sa essere resistente agli attacchi della vita…

Per un attimo ho provato ad immaginare Paolo Borsellino e la sua reazione dall’alto, era uno con un forte senso dell’umorismo, si sarà fatto una risata anche questa volta davanti ad una situazione così grottesca?

Noi vittime della mafia

Le vittime della mafia siamo noi, nati nel posto giusto al momento sbagliato.
Le vittime siamo noi che, nel 2016, ancora, dobbiamo giustificarci quando all’estero veniamo etichettati come mafiosi, senza appello, un sorriso impaurito che ci fa sentire in imbarazzo.
Le vittime della mafia siamo noi che subiamo giornalmente atteggiamenti prevaricatori entrati nel dna e mai più usciti.
Le vittime siamo noi, noi che guardiamo i nostri figli sperando che non succeda mai più.

Le vittime della mafia siamo noi, orfani di personaggi carismatici e coraggiosi, punti di riferimento di una terra, immensi baluardi di umanità.
Le vittime siamo noi che non scendiamo a compromessi neanche col Padreterno ma che abbiamo bisogno di film e serie tv che ci dipingano come onesti.
Le vittime siamo noi che viviamo le stesse strade, lo stesso mare, le stesse montagne, ma senza bisogno di imbrattarli di sangue.
Le vittime siamo noi, costretti a salvare la pelle per darsi un’altra possibilità altrove.

Le vittime della mafia siamo noi, costretti a vivere in una realtà dove la verità è solo un punto di vista.
Le vittime della mafia siamo noi, stretti nella nostra casa piena di infiltrazioni, brividi non solo di freddo ma anche di paura.
Le vittime siamo noi che dobbiamo guardare oltre lo Stretto per darci una speranza.
Le vittime siamo noi che ci sentiamo dire stupidi anche in sogno.
Le vittime siamo noi che ci sentiamo dire: “Ma che bei posti, peccato che c’è la mafia”.

Le vittime siamo noi, solo noi, i veri siciliani e in una terra così bella non c’è spazio per nessun altro. Da noi, solo da noi, si può ripartire.

L’alba di una nuova Corleone

L’alba di una nuova Corleone, forse l’alba di una nuova Italia, così si può sintetizzare l’operazione antimafia che ha portato all’arresto di dodici persone tra le quali il nipote di Provenzano. Stavano cercando di ritessere la tela, dopo i duri colpi inferti negli ultimi tempi, volevano riorganizzare il modello “vincente” della generazione precedente, si sono scontrati con un imprevisto che proprio non avevano considerato. Sì, perché nel frattempo Corleone, territorio difficile, ostico, molto chiuso, anche fisiologicamente, ha deciso di ribellarsi, attraverso i suoi imprenditori, otto, che hanno denunciato.

Siamo davanti ad una svolta storica, certo non una novità perché imprenditori coraggiosi, in tutto il territorio e specie al Sud, se ne sono visti parecchi. Storie davanti alle quali spalancare la bocca, attributi giganteschi che neanche puoi immaginare ma anche tanta sofferenza e scoramento. Deve essere stato particolarmente difficile per chi, vive da anni, forse da sempre, gomito a gomito con i mafiosi, percorre le stesse strade, frequenta gli stessi posti. Più facile essere dalla loro parte, coscienza nel cesso ma vita tranquilla, anonima, senza pericoli.

Quanto devono avere rimuginato questi fantastici otto, quanto avranno sopportato prima di schierarsi dichiaratamente dalla parte dello Stato. Avranno guardato ogni notte i loro figli interrogandosi sul da farsi, preoccupandosi per il loro futuro, temendo per il loro presente.
L’interno lacerato da una lotta continua tra coscienza e razionalità, l’immagine di una famiglia a rischio da contraltare ad una bella famiglia serena ma tormentata da una spada di Damocle, spesso a cadenza mensile.

In questi mesi, questi otto imprenditori, avranno rimboccato le coperte ai propri figli più del solito. Si saranno proiettati sui loro pensieri, sulla loro vita da adulti. Avranno pensato alle loro reazioni davanti ad un padre coinvolto in un brutto sistema chiamato mafia, alla loro delusione davanti ad un genitore che non ha avuto il coraggio di schierarsi dalla parte della giustizia.
Probabilmente, alla fine, avranno sorriso al pensiero di rendere orgogliosi i propri piccoli, testa alta e petto in fuori, per sempre e per la vita.

Ribellarsi a Corleone vale doppio, è l’inizio di un nuovo giorno, la mafia circondata nei luoghi dove è nata. Adesso è il turno dello Stato, delle tutele sempre più forti, dell’accompagnamento degli imprenditori in un percorso difficile ma che sa essere anche ricco di soddisfazioni.
Intanto, e non è poco, lo specchio riflette le immagini di veri uomini.

La mafia nella vita di tutti i giorni

La mafia è un “sistema di potere” fondato sul consenso e sul controllo sociale della popolazione. Intimidazione, assoggettamento e omertà sono i principali concetti che ruotano intorno ad essa. Molteplici sfaccettature di un fenomeno che si manifesta non sono nell’eclatante e nel tragico, ma nella vita di tutti i giorni perché la mafia è con noi, in tutti i luoghi e potenzialmente in ogni persona.
Mafia è spietatezza, uomini saltati in aria come birilli, sete di potere, boss irraggiungibili, serie tv ma c’è un’altra faccia, meno roboante e forse ancora più grave, un germe che si è insinuato pian piano nella gente, che si manifesta negli atteggiamenti, nel modo di vivere e che rappresenta un’eco fastidiosa e intollerabile per un sistema che dovrebbee essere solo confinato.

Il vivere mafioso raggiunge i suoi apici nel magico mondo dei parcheggi, chissà perchè.
In certe zone d’Italia è assolutamente naturale versare nelle mani di omini sempre belli pienotti ( e vorrei vedere con tutti quegli spiccioli esentasse) un piccolo pizzo in monete. Piccolo nel senso che si tratta di una monetina, ma 1 euro sono 2.000 lire e a volte i più audaci te ne chiedono di più. Se non hai a disposizione i soldi poco male, il posteggiatore abusivo ti aspetterà o addirittura, cuore nobile, ti scambierà i contatti.
Che poi tu, in questo modo, stai facendo una sorta di concorso in associazione mafiosa poco importa, la macchina sarà intatta al tuo ritorno. Tanto i vigili sanno tutto, il più delle volte scambiano quattro chiacchiere in allegria con il “professionista” di turno.E non è tutto. Quando metti la macchina in mezzo alla strada, in doppia fila o col posteriori che esce abbondantemente (perché fa figo), vuoi in qualche modo impedire il regolare svolgimento delle cose, sei sulla strada giusta, ti stai comportando da mafioso.

Mafia è anche ingegno e originalità. Trovi sempre il modo di scavalcare la fila con classe, alla posta o al supermercato. Trovi sempre le scorciatoie migliori per non aspettare le lungaggini della burocrazia. Sei troppo avanti per farlo, anzi quando vedi una persona rispettare la legge quasi la deridi: “Uno sfigato che non ha capito niente dalla vita”.

Mafia è girarsi dall’altra parte davanti ad una persona che ha bisogno del tuo aiuto. Il tuo tempo è troppo prezioso, stai agendo bene, sei indifferente e omertoso, quindi mafioso.

Mafia è non muovere un dito quando hai il culo ben poggiato sulla sedia, in un ufficio pubblico. Ti ha messo lì tuo padre (perché la raccomandazione è necessaria per l’onorabilità della famiglia), a volte non ti rechi nemmeno in ufficio perché il tuo collega (forse più mafioso di te) timbra il tuo cartellino e quello di altri 28 dipendenti.
D’altronde quando quelli che ti devono rappresentare, i politici, sono tra i primi fruitori del fare mafioso, ti senti di aver imboccato la giusta strada.

Mafia è sciacallaggio. Le catastrofi naturali sono terreno fertile per mangiarci il più possibile. Caterpillar assetati di denaro radono al suolo ogni sentimento, “the mafia must go on“.

Mafia sono anche le vecchie generazioni che hanno pensato ad arraffare quanto più possibile senza pensare che comunque, il mondo, doveva andare avanti ancora qualche millennio.
Prendo il più possibile, chi se ne frega di figli, nipoti e generazioni future. In qualche modo si arrangeranno”.

Così, quando un bambino ci chiederà che cosa è mafia, per onestà intellettuale dovremo indicargli tanto i bagni di sangue quanto il modus operandi nella vita di tutti i giorni.
Se poi, nelle scuole, dove già si fatica ad inserire nei libri di storia le stragi mafiose degli ultimi decenni, si insegnasse un po’ di educazione civica per far capire ciò che giusto e ciò che non è giusto magari potemmo porre rimedio prima che sia troppo tardi.

Anche se forse lo è, quando senti dire a quello stesso bambino: “Mio padre dà un euro al posteggiatore e quindi è giusto così. Mio padre ha raccomandato mio fratello, vuol dire che si può fare”. A pensarci, un ragionamento che non fa una piega.

Cinisi: niente funerali pubblici per il boss

Il questore di Cinisi vieta i funerali pubblici dell’ultimo boss della cupola di Totò Riina.
Una notizia che dovrebbe essere diffusa su tutti i telegiornali, una decisione che potrebbe apparire scontata ai più ma che non lo è affatto.
Procopio Di Maggio è morto a 100 anni tondi tondi, fortunato, per aver vissuto un secolo e perché scampato a ben due attentati. Il suo compleanno, appena sei mesi fa, è stato celebrato con svariati minuti di fuochi d’artificio, festeggiato come una star, nel paese che ha dato i natali ad un eroe come Peppino Impastato.
Ah, piccolo particolare: il sindaco ha vietato i fuochi d’artificio, invano, appare evidente.

Dapprima alle “dipendenze” di Al Capone in America, poi a servizio di Tano Badalamenti, il mandante dell’omicidio di Impastato e successivamente tra le forze di Riina, un tradimento che gli costò un figlio. Imputato e condannato a sette anni di carcere nel maxiprocesso di Palermo, fu però assolto dall’accusa di aver commesso una ventina di omicidi.

L’ordinanza del questore dunque non è affatto gesto scontato, in un Paese ancora fortemente spaccato in due, tra contraddizioni ed amarezze. Giovanni Impastato si è recentemente lamentato proprio della gente del posto, “presente in gran numero ai 100 anni di Di Maggio e assente al funerale di sua madre”

Niente funerali pubblici per Di Maggio quindi, che si è scagliato contro i pentiti per quello che ha sempre considerato un “tradimento”, capace di dire frasi come: “La mafia per me non esiste, ho sentito parlare di Cosa nostra soltanto dai giornali e dalle tv”.

Un segnale di legalità in una semplice ordinanza, la mafia si affronta attraverso le piccole cose.

Peppino e Pino

L’inossidabile Peppino e il vacillante Pino, forse una provocazione. Curioso come, la parabola discendente del direttore di Telejato coincida, almeno a livello temporale, con l’ennesima giornata di ricordo di Impastato, il Giornalista, colui che lotta per l’affermazione della verità, a qualunque costo. Il 9 maggio 1978 è stato spazzato via, con un carico di tritolo, un corpo, uno dei tanti, in quel periodo di sangue. Le sue idee no, sono ancora tutte qua, a disposizione di chi volesse fruirne, perché “la mafia uccide, ma il silenzio pure“.

La figura di Pino Maniaci nel frattempo vacilla, un duro colpo per la Sicilia che aspira ad affermarsi come terra di buoni propositi, di battaglie del popolo e per il popolo.
I giovani, i giornalisti che non scendono a compromessi, l’antimafia che agisce e non chiacchiera, una botta, per tutti. Non salirò sul carro della crocifissione, non sputerò fango su un uomo che di cose ne ha smosse, che ha dato una speranza ad una terra che sembrava morta, che ha rischiato la sua pelle.
Il potere può dare alla testa e se ti batti contro la mafia sei abbandonato al tuo destino o, come in questo caso, seguito dai media regionali e nazionali. Le Iene, i principali telegiornali, tanti i programmi che hanno osannato (giustamente) le battaglie di Maniaci e di tutta Telejato. Quei baffoni, l’espressione burbera, sembrava (sembra?) un uomo assolutamente allergico ai compromessi, gli stessi che leggiamo nelle intercettazioni, estorsioni, sì, proprio quelle.

Pino si è montato la testa, è innegabile, ma chi lo attacca, probabilmente, non fa nulla per cambiare anche dello 0,1% le cose, alimentando, nella vita di tutti i giorni, la Sicilia dei metodi mafiosi. Dai divani di casa, nei principali bar del Paese si punta il dito, poi magari, dopo poche ore, si torna a sostenere l’abusivismo.

Peppino, con la sua Radio Aut, ha deciso di sfidare a viso aperto un mondo ben insediato nella provincia di Palermo. La sua famiglia era mafiosa, suo padre lo voleva risucchiare in quel mondo, sarebbe stato tutto più semplice, una vita agiata, qualche “ammazzatina” e un appuntamento con la morte sicuramente ritardato.

Satira sulla mafia quando, a cento passi da casa tua, hai il boss Badalamenti, condannato all’ergastolo insieme a Vito Palazzolo, condannato a 30 anni. Il tutto dopo ben 24 anni, con delle indagini discutibili, archiviazioni, accuse allo stesso Impastato e la forza sovrumana di Felicia, una grande mamma e una grande donna. Grazie a lei Peppino ha avuto giustizia, grazie a lei il suo messaggio rimane ancora intatto.

 

Dai Casamonica a Riina, la Rai e le sue porcate

In principio furono i Casamonica, ospitati nel salotto di Porta a Porta da Bruno Vespa, giornalista, conduttore e vero, ahinoi, pilastro, da anni, di Rai 1.Circa un milione e trecento persone, all’epoca, ammirarono le gesta della “famiglia”: curiosità, mancanza di alternative o incapacità di comprendere cosa è giusto o cosa è sbagliato?

Vespa ci è ricascato, con quel sorrisino sardonicoha fiutato il colpaccio, in nome del Dio Share, niente poco di meno che Salvo Riina, figlio di Totò. D’altronde doveva essere pubblicizzato il suo libro, dove parla del rapporto con papà, di come mangiavano i popcorn mentre saltavano in aria macchine, scorte e magistrati e del tanto affetto ricevuto.
Sdegno comprensibile su tutti i fronti e per fortuna: dalla famiglia Falcone, dalla famiglia Borsellino, dalla politica e dalla stessa televisione, sia degli addetti ai lavori che del pubblico. Vero,sempre un milioncino ieri è stato lì ad ammirare Salvo Riina, condannato ricordiamolo a più di 8 anni per associazione mafiosa (pena che ha appena finito di scontare). Probabilmente si aspettavano qualche frase ad effetto, di quello che io, solo a sentirle, scaraventerei di tutto contro il televisore, di sicuro non avevano nulla di meglio da fare perché, in questo caso, la curiosità deve lasciare lo spazio all’intelligenza e il buon senso.

Il boicottaggio di Porta a Porta e della Rai ha in parte sortito i suoi effetti, Rai che ricordiamo è un servizio pubblico che alimentiamo noi con una tassa chiamata canone, quindi se Salvatore Riina è stato addirittura pagato per quell’intervista, lo abbiamo pagato noi,  sì proprio così, oltre il danno la beffa.
Mi manca un pezzo e mi mancherà per sempre: non ho sentito e non ho letto quello che questo Tizio ha affermato, non ho avuto tempo, avevo alternative come la lettura di un buon libro o di alcune frasi significative dei miei eroi, Falcone e Borsellino.

Visto che non ci dobbiamo sempre lamentare, prendo il lato positivo, di quelle migliaia di persone che hanno rinunciato ad alimentare il business orrendo dell’audience in nome dell’onore e del rispetto per le vittime della mafia. Nessuno pagherà per questa porcata, trasmessa in mondovisione su Rai 1, ci sarà qualche altra affermazione sdegnata e poi tutto si chiuderà con l’indifferenza ed un nulla di fatto, fino alla prossima intervista, già lo vedo il ghigno beffardo di Vespa che si lecca i baffi: sarà un Provenzano o passeremo a camorra o ndrangheta?

 

La “mafia” della Chiesa

Ho scelto un titolo forte, probabilmente a qualcuno darà fastidio, magari ai moralisti che vedono la Chiesa come un’istituzione collocata in alto, troppo pura e grande per venire a contatto con le persone, un’entità isolata dove tutto è perfetto e tutto funziona. No, la storia lo ha dimostrato, la corruzione non è solo affare di Stato, il numero di mele marce aumenta, giorno dopo giorno e non lo dice Claudio Colombrita, lo dice Jorge Bergoglio, un certo Papa Francesco, troppo umano e terreno, scomodo per un’istituzione che ha sonnecchiato sugli allori, fino a questo momento.

Non bisogna passare all’errore opposto, fare di tutta l’erba un fascio, non è giusto pensare che tutti i cardinali abbiano un castello dove organizzano feste e aperitivi come Bertone o che la vocazione sia solo in realtà una grande burla sacrificata sull’altare delle comodità.
Ci sono tante piccole grandi storie a cui non si concede il meritato spazio, perché lo scandalo fa più notizia della giustizia.

Si chiama Don Palmiro Prisutto, parroco di Augusta, l’ultima domenica di ogni mese legge la lista delle persone decedute in seguito ad un cancro, sono circa 800, ma aumentano sempre di più, molti sono bambini. Una cosa nobilissima, un prete che, come molti altri, sente il polso della sua gente, si immedesima in essa, combatte per la salute di un’intera comunità e si batte contro gli interessi del triangolo industriale Augusta-Priolo-Melilli. Ma siamo in Sicilia, siamo in Italia, ci piace farci ridere sopra, ci piacciono i nostri interessi e ce ne fottiamo di ogni forma di coscienza e lo fa anche la Chiesa, che, tramite l’arcivescovo di Siracusa Salvatore Pappalardo, chiede le dimissioni di Prisutto, qualora non imbocchi, nuovamente, la retta via.

Sarebbe stato troppo cristiano supportare un prete coraggioso, troppo in linea con i messaggi che la religione dovrebbe dare, perché schierarsi infatti con i più deboli quando si dorme dentro edifici solidi, sicuri e senza problemi?. La gente però non ci sta, organizza proteste e si schiera con Don Prisutto e, anche se sappiamo già come andrà a finire, è questo il messaggio più bello che si evince da questo caos.

Don Prisutto ha chiamato in causa Papa Francesco, uno che ci ha visto lontano sin dal primo giorno, uno che non tollera l’indifferenza e l’omertà, da solo, contro la “mafia” della Chiesa.