La guerra negli occhi e la pace nei sogni

“Uno, due, tre, quattro, cinque”, conto i secondi di quiete, quelli in cui vivo veramente una vita normale, una vita tranquilla, una vita da bambino. Stavolta me ne hanno concessi 5 prima di sentire un botto, una bomba, uno sparo, sto dentro questa casupola ma potrei anche stare fuori, nono sono sicuro da nessuna parte.

Mio padre mi ha detto che il destino è una ruota che gira, prima o poi prende tutti, io vorrei che questa ruota mi lasciasse ancora un po’ in pace, sono piccolo, ho appena 10 anni e nella testa ho mille idee da portare a termine.

Avrei voluto sentire anche mia madre, come la pensava su questa ennesima ripresa della guerra, ma lei me l’hanno portata via con una bomba, è esplosa in un attimo, come un bersaglio privo di amore e sentimenti.

Sono piccolo, forse troppo per vedere e sentire tutto questo errore, ho pianto tanto, ho chiesto perché al mio Dio. Perché sono nato in questo lembo di terra, perché qui e non altrove, perché ci sono posti dove il pensiero più grande per un bambino è scegliere il gusto del proprio gelato.

Ad ogni modo sono qui, le lacrime sono finite, sono un Uomo a 10 anni, forse mi chiameranno presto a combattere, ma combattere poi per cosa? Perché degli esseri umani decidono di farsi così male vicendevolmente?

“Un, due, tre, quattro, cinque, sei”, arrivo fino ad un minuto, mi prendo di coraggio ed esco, escono pure i miei amici, quelli che sono rimasti, quelli che non sono scappati o saltati in aria in un secondo. Faccio segno a mia sorella, è più piccola di me e ha il diritto di rimanere ancora un po’ bambina, ha nelle mani una bambola di pezza tutta deformata, la proteggerò sempre e per sempre, almeno una in questa famiglia deve poter sognare.

Farà la dottoressa, ne sono sicuro, già sa prendersi cura di noi con il suo amore e con la sua dolcezza, la ruota non colpirà anche lei, io ormai a 10 anni sono già nel giro, per me non c’è più niente da fare.

Le sussurro di scappare, che qui non c’è alcuna speranza per lei, quando uno scoppio mi spacca le orecchie e sventra un ammasso di macerie poco distante tra noi. In qualche angolo più civile del globo, dei bambini ben vestiti e ben lavati stranno guardando queste cose in un telegiornale.

Nessuno fa niente per noi, siamo come criceti che girano sempre dentro la stessa ruota, la guerra crea dipendenza nell’essere malvagio, io di questa dipendenza farei volentieri a meno, ma sono Uomo e presto dovrò fare la mia parte.

Cala il giorno, non si vede più niente, siamo ancora più in pericolo. Chiudiamo i nostri occhi e giungiamo nell’unico posto in cui siamo davvero al sicuro: nei nostri sogni.