Il cane e il bambino

Un cane e un bambino, nella loro semplicità, rappresentano la massima espressione della sensibilità. Dimenticatevi maschere e filtri, squarciate tutte quelle fette di prosciutto che vi hanno ormai occluso la vista e lasciatevi andare, solo così potrete realmente entrare nel loro mondo.

  • Un uomo stanco torna a casa dopo una giornata di lavoro. I nervi a fior di pelle, la promozione promessa non è stata concessa, ad attenderlo, davanti alla porta, il suo cane. Scodinzola come se niente fosse, ama a prescindere, in un attimo si trova accovacciato sul suo migliore amico, davanti ad un film. Una donna è appena stata dal medico, le hanno diagnosticato un brutto male. Ha pianto tutto il giorno in macchina, alla sera trova ad aspettarla sua figlia. Un “Mamma giochiamo con la mia bambola”  gretola in un attimo i mille castelli dell’orrore. Ha fatto centro in un sol colpo.
  • Tre bambini giocano in un prato, da lontano un bambino curvo e timido li guarda. Il pallone finisce vicino ai suoi piedi, lo raccoglie timido, “vieni a giocare con noi“, dicono i tre bambini all’unisono. In quattro ci si diverte di più.  Un cane è coccolato da una coppia, ma il loro bambino ha una paura matta degli animali. Rispetta la sua volontà, gli sta lontano. Un giorno gli si avvicina mentre dorme sul divano, il bambino lo abbraccia, credendo sia un peluche. Diventano inseparabili.
  • Un bambino fa lo sgambetto al suo migliore amico. Gli aveva rubato una macchinetta. Torna a casa e pensa e ripensa a quel gesto. L’indomani gli offre metà della merenda, basta questo per ripristinare la loro amicizia. Un cane riesce ad aprire un’intera scatola di croccantini. La sera torna il suo padrone, lo trova in un angolo, umiliato e con le orecchie in basso. Non sa come chiedere scusa, per autopunirsi lascerà la ciotola piena nei successivi due giorni.

I bambini non sono tutti uguali

Bambini, tutti uguali, tutti belli, tutti adorabili, tutti in una campana di vetro per essere protetti da qualsivoglia pericolo.
Questo il sogno, perché la realtà parla diversamente, è cruda, ti sbatte in faccia uno scenario difficile da digerire: l’essere umano, sin dagli albori della sua esistenza, si classifica in diverse “serie”, a secondo delle possibilità che il buon Dio gli offre non appena esce dal grembo materno.
E così ci sono piccole creature che pur essendo le più adorabili del mondo, sono esposte al vento, alla cattiveria, alle bombe e soprattutto alla paura, una convivente non scelta e sgradita.
In Siria si muore, continuamente, come in altre parti del mondo. Giochi di regime, opposizioni, una lunga guerra, estremamente rumorosa per chi la vive sulla propria pelle ogni giorno, silenziosa per gli europei, che per lo più, piangono “solo” i bambini del proprio continente.
In Siria si muore, un bambino si sveglia ogni giorno e va a giocare coi suoi amichetti, quei pochi rimasti. Basta un piccolo pezzo di cartone per creare una palla, qualche vecchia bambola malridotta e si fa festa, mentre gli aerei passano sopra la testa.
Un frastuono continuo, mentre a pochi isolati un grosso boato illumina la scena, le urla e il fuoco prendono piede, ma si deve continuare a giocare.
Ossigeno, mentre la sera due bambini si salutano più a lungo del solito, hanno un presentimento, il loro sguardo potrebbe essersi incrociato per l’ultima volta.
Ci sono piccoli che alzano gli occhi al cielo per vedere i fuochi d’artificio, altri che provano a tenerli bassi, le dita nelle orecchie, gli scoppi sono davvero insopportabili.
Dunque largo ai Pokemon, se può servire a fare un po’ di luce sui poveri piccoli dimenticati.
L’idea è delle Forze rivoluzionarie siriane, foto di bambini che mostrano disegni dei piccoli mostri che stanno imperversando in tutto il mondo.
Continueranno a giocare a calcio, come gli europei, più degli europei.
Continueranno a morire comunque, come gli europei, più degli europei.

Il “normale”, il disabile e l’idiota

Ho una visione tutta mia della disabilità e la vita di tutti i giorni e le esperienze nel volontariato non fanno altro che confermarla.
Come sempre, mi piace partire dalla definizione: la disabilità è la condizione di chi, in seguito a una o più menomazioni, ha una ridotta capacità d’interazione con l’ambiente sociale rispetto a ciò che è considerata la norma, pertanto è meno autonomo nello svolgere le attività quotidiane e spesso in condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita sociale (Wikipedia).

Io non sono d’accordo su molte cose e vi spiego subito il perché.
Sono stato a contatto, diverse volte, con le persone disabili. Sindrome di down, difficoltà motorie, autismo, ritardi mentali di vario tipo e altre tipologie. Ho notato un’incredibile sensibilità e una capacità unica di manifestare i propri sentimenti, accompagnate da una semplicità dei gesti e un amore spesso incondizionato.
“La ridotta capacità d’interazione rispetto a ciò che è considerata la norma”. Ma appunto qual è questa benedetta norma? L’aggressione di Olbia, col 27 enne Bachisio Angius, protagonista di un’aggressione ai danni di Luca Isoni, un 37 enne di Olbia con disabilità psichica, è solo l’ultimo episodio dell’escalation della follia.

Il ragazzo “normale” ha chiesto scusa con riserva, giustificandosi, dicendo che non sapeva di avere a che fare con un disabile e sostenendo di essere stato provocato. Dichiarazioni di circostanza per preparare un’eventuale difesa.
Il ragazzo con disabilità, spesso e volentieri, ti chiede scusa a prescindere, anche per un’inezia, perché non possiede filtri che limitino i suoi sentimenti: o troppo o troppo poco, ma senza alcun ragionamento di convenienza

L’uomo “nella norma”, riprende un altro uomo che picchia una persona “non nella norma”. Non dice nulla, spesso aizza l’amico, arringa la folla. Sorrisi ebeti, compiacimento e subito a postare i video sui social network.
L’uomo disabile non solo prova a giustificare l’uomo “normale”, dicendo di essere caduto dalla moto, ma non reagisce nemmeno, non vale la pena di fare le fine delle bestie.
Sfodera i suoi sentimenti, ti conquista con un sorriso, con un fiore raccolto in un giardino. Dagli in mano un cellulare degli anni 90′, altro che smartphone da 1000 euro, sarà il dono più prezioso che potrai fargli.

Che bello essere “fuori dalla norma” in un mondo così brutto!
E se provassimo noi ad entrare nel loro bellissimo mondo senza trincerarci dietro giustificazioni del tipo “sono persone difficili, disturbate, non capiscono”.
Per me invece, hanno davvero capito tutto, esprimono sensibilità allo stato puro mentre noi siamo incapaci di rapportarci al loro modo di essere. Convivono con le difficoltà di tutti i giorni ma non passano ore a lamentarsi come noi “normali”. La verità è che siamo spaventati dalla loro assenza di filtri e dalla loro scintillante sensibilità.
Non diamo la colpa a loro se non riusciamo ad immedesimarci nelle loro vite e nelle loro esigenze.
Ci sono le persone cosiddette “normali”, i disabili e poi ci sono gli idioti, non è una forma di disabilità riconosciuta ma è molto più grave, puoi addirittura arrivare a picchiare un disabile per poi condividere il video su Facebook.

Nizza: l’autista delirante e la bambina col gelato

Ho l’occasione della mia vita, finalmente, il riscatto che ho sempre sognato.
Sto entrando in questo bel camion noleggiato per l’occasione, è arrivato il momento di dare inizio alle danze. Il lungomare è illuminato a festa, è il 14 luglio, quale migliore occasione! C’è il vento che sposta di poco le persone, fra un po’ verranno spazzate come i birilli, con una violenza che neanche si immaginano. Si ricorderanno a lungo di Mohamed Lahouaiej Bouhlel, lo psicopatico di Nizza, ma intanto ne avrò fatti fuori almeno un centinaio. Più sono e meglio è, in fin dei conti.

Che bello questo lungomare pieno di luci! Oggi è festa nazionale, la presa della Bastiglia, quante persone ci sono! Un sacco di bambini, proprio come me, che corrono e si divertono, come in una qualunque sera d’estate.
Ho chiesto a mamma e papà un bel gelato, in quel bar all’angolo, avevamo appena finito di cenare e non volevano. Li ho convinti con la mia voce stridula, funziona quasi sempre! Anche loro sono contenti di passeggiare insieme, mano della mano, si riposano dopo aver lavorato tanto e finalmente posso averli tutti con me.

Procedo lento col mio camion, supero facilmente un posto di blocco della Polizia francese, tutto sembra andare per il meglio, è la mia serata. Nessuno mi ha mai considerato in questa vita, ho commesso solo qualche piccolo reato ma nulla di che. Odio questi europei felici, queste famiglie che passeggiano sul lungomare con quel sorriso deficiente, la spensieratezza dei bambini. Sono tantissimi questa sera ed è meglio così, gli europei piangeranno di più. Vado lento, sono fermo ad un semaforo, fra poco comincerà la mia corsa.

Abbiamo incontrato gli amici dell’hotel per strada, mi sono messa a giocare con un’altra bambina, in due è meglio, il mare è bellissimo. Siamo sempre vicini ai nostri genitori, anche se il lungomare è chiuso alle macchine. Ad un certo punto in cielo vedo mille colori e sento i botti, uno stupendo gioco di luci, oggi è festa per tutta la Francia e per noi che siamo qua.

Si sono divertiti abbastanza con questi fuochi d’artificio! Adesso è il momento di far sentire altri tipi di botti, le persone macinate dalle ruote, gli spari contro la gente, le teste che volano di qua e di là. Premo l’acceleratore e sterzo di continuo per prenderne più che posso. Adulti, bambini, carrozzine, non importa, è il mio momento di gloria, voglio godermelo appieno! Non se lo aspettavano, felici com’erano, adesso sento le urla di tutti ed è un suono melodioso. Vedo il sangue schizzare e pezzi di braccia qua e là, al diavolo, adesso ammazzatemi pure, il mio l’ho fatto!

Ci siamo allontanati per un attimo con la mia amica, ci rincorrevamo felici con il vento che soffiava e che ci muoveva i capelli. Ad un certo punto, da dietro, ho sentito delle urla, mi sembrava tutto un gioco, forse qualche altro bel fuoco d’artificio era stato sparato in aria, sentivo i botti. Ho sentito anche i miei genitori urlare da dietro e poi tutto buio, mi sono ritrovata su una grossa nuvola e dall’alto ho visto tutto. Non erano fuochi, non erano urla di gioco, io e la mia amica siamo finiti sotto un camion. Speriamo che in questo nuovo mondo gli adulti non investano i bambini! Credevo non lo facessero nemmeno in quello di prima!

Puglia: il dolore calpestato dagli sciacalli

Credo che ci sia un tempo per il dolore e un tempo per le polemiche. Penso che sia giusto voler fare luce sul disastro ferroviario in Puglia ma penso anche che la fretta e la smania di trovare un colpevole (o peggio di trovare lo scoop) abbiano calpestato un dolore che richiede la sua naturale elaborazione.

Rispetto, una parola tanto abusata ma poco compresa, giornalisti subito sul luogo dello scontro ad introdursi nelle storie intrecciatesi su quel binario unico, dove due treni ad alta velocità hanno fatto il botto, ad una velocità superiore ai 100 km/h.
Rispetto confligge con sciacallaggio, un vizio che si impossessa di chi vuole a tutti i costi ergersi a maestrino o lucrare sulle disgrazie altrui. Allora ecco politici che a 2 minuti dall’incidente sparano già sentenze, botta e risposta violenti, neanche il tempo di capire cosa SIA successo. Per non parlare poi dei curiosi, di coloro i quali non aiutano a scavare, a dare conforto a persone ferite, sotto shock, orfane di un proprio caro. No, a loro interessa fare un selfie con le rovine, due treni che impattano, roba da urlo, da raccontare ai propri amici. E che dire poi del video postato su Facebook e Twitter, chissà quanti mi piace potrò fare, ci si può anche diventare famosi sulle tragedie.

Intanto l’attenzione dei media si concentra sul binario unico, che poi sarebbe una costante in gran parte d’Italia. Solo dopo un bel po’, dopo aver sparato sentenze e merda, a destra e a manca, si guarda alla realtà dei fatti, ad un sistema automatico che è presente ovunque tranne che in quel tratto maledetto tra Corato e Andria, quello sì avrebbe evitato davvero la tragedia, al di là dei tanti (e gravi) errori umani.

Su un altro fronte troviamo anche gli eroi della discriminazione, gentaglia che inneggia all’incidente, visto come il frutto di un Sud inferiore, arretrato, inquinato dai terroni.
Si parla di binario unico mentre sarebbe opportuno parlare di “dolore unico“, da Nord a Sud. Che il meridione d’Italia sia fermo ancora al 1900 è cosa evidente, che nell’ultimo secolo non si sia fatto nulla è cosa raccapricciante, che i recenti investimenti, fatti di treni veloci abbiano riguardato solo ed esclusivamente il Nord fa pensare.
In tutto ciò sono morte 23 persone, persone che fa rima con terrone. Al Sud devono aspettare ore intere per prendere un treno sgangherato e senza condizionatore, poi per fare un piccolo tratto non ci mettono 5 minuti come al Nord, anzi per loro treno significa odissea e ritardo significa consuetudine. Si erano perse solo un “piccolo tassello”: treno può significare anche morte.

Nella disperazione di un’arretratezza evidente, ci piace ricordare (con una grande fitta al cuore) le tante storie umane che stanno dietro lo scontro. Casualità, giorno in più o giorno in meno che fa la differenza nell’appuntamento con la morte, matrimoni mancati e quella mamma e quella figlia trovate abbracciate, i corpi senza vita intrecciati, i cuori volati in un mondo dove non ci sono errori, morti o incidenti. Ci piacciono le immagini dei tanti pugliesi dal cuore d’oro che fanno la fila per donare il sangue, l’umanità di noi terroni, che, nel momento del bisogno, non manca mai.

Sono il suo cane, il suo migliore amico: tornerà

C’è una bella giornata di sole fuori, ma io, come ogni giorno, la passerò in questo garage buio. Stamattina il mio padrone mi ha dato dei croccantini, lo fa quando si ricorda, non lo critico, ha una famiglia a cui pensare. Ogni tanto mi liberano in giardino e gioco con i suoi bambini, corro, faccio scorta di sole e di luce, rincorro la palla e mi diverto come un matto. Fra qualche giorno partiranno, un lungo mese fuori, in Canada. Chissà che bel posto!
Le giornate qui in garage sono monotone ma è venuto il mio padrone, mi ha messo il guinzaglio e mi ha fatto salire in macchina. Una bella gita, io e lui, come i vecchi tempi! Non so come ringraziarlo.

C’è caldo ma ho fatto una bella bevuta prima di andare e posso resistere. La strada è lunga, chissà in che luogo meraviglioso mi sta portando. Dobbiamo stare un po’ insieme io e lui, non lo facciamo da un bel po’, prima eravamo inseparabili.
Mi ha fatto scendere dall’auto, in una piazzola di sosta di una strada con tante macchine. Vanno tutte veloci, chissà che brutto deve essere stare lì in mezzo ma io ho il mio padrone, chissà che bel gioco mi sta preparando.

Ora mi ha legato ad un palo, si guarda intorno, forse deve sbrigare qualche commissione e non si fida di me. Se ne è andato di corsa, sgommando, con l’auto su cui sono salito mille volte, aveva fretta, non appena farà quello che deve fare con urgenza tornerà a prendermi.
Non è mai stato bravo a fare i nodi, anche stavolta mi sono liberato, ma io lo aspetto qui, se non mi ritrova dove mi ha lasciato si arrabbia e magari mi prende a cinghiate come qualche giorno fa. Poco più avanti c’è un bosco, mi faccio un giretto veloce e poi torno qui. Sono solo del mio padrone e di nessun altro, capita che si fermino macchine per una sosta ma io mi nascondo abilmente, prima che qualche essere umano possa pensare di “adottarmi”.

L’impegno del mio padrone deve essere davvero importante, sono giorni che ormai non lo vedo, ho mangiato pochissimo e ho trovato qualche goccia d’acqua da bere, non so quanto potrò resistere ma l’amore e la fedeltà per lui mi salveranno.
Adesso mi affaccio in questa strada rumorosa per vedere se lo trovo. Mannaggia! Mi stavano mettendo sotto! Meglio che torni nella mia piazzola, sono il suo cane, il suo migliore amico. Tornerà, ne sono sicuro e sarà festa grande!

La Corrida della stupidità

Ero poco più che 18enne, in quell’età dove ci si sente spavaldi, strafottenti, più forti di tutto. Ero con amici, il proprietario della struttura dove alloggiavamo ci propone dei biglietti per la Corrida, scenario Torremolinos, Costa del Sol, Spagna.

Decidiamo di andare, seppur con qualche perplessità, i biglietti tra l’altro non costano poco ma rimane un’attrazione, un qualcosa di tipico.
Entriamo e davanti ai nostri occhi comincia il “festival dell’orrore”, brutto, troppo brutto per essere vero. Non si tratta di una semplice Corrida, già straziante di suo, è una maxi-Corrida, con tanti toreri e tanti tori che faranno la stessa fine.
Il pubblico sventola i fazzoletti bianchi, aizza i toreri contro il toro, provoca le povere bestie, drogate e ammansite. Gli animali partono in svantaggio, sempre. Mai, quasi mai riescono a recuperlo ed è quindi sempre l’uomo ad avere la meglio.

Facciamo qualche foto distratti, subito disgustati dallo spettacolo che stiamo vivendo. Ci troviamo dopo pochi istanti a fare il tifo per i tori, la nostra idiozia nell’essere lì ad aver alimentato con i nostri soldi quella pagliacciata si trasforma in ferocia, forse non ci dispiacerebbe vedere un toro incornare tutta quella gente che sventola fazzoletti orgogliosa, magari meritiamo un paio di incornate anche noi.

Muoiono diversi tori, una mattanza, uno dopo l’altro. Usciamo da quel ridicolo teatro, ci guardiamo in faccia e ci sentiamo in colpa, cancelliamo subito foto e video, vogliamo dimenticare al più presto quella bruttissima parentesi. A distanza di 10 anni nulla è cambiato. Si fanno ancora le Corride, a Pamplona si svolge annualmente la corsa dei tori, gli animali, eccitati, incornano abitanti e turisti intenti a correre. Ieri però un torero è stato infilzato, è morto davanti a tutti. Victor Barrio, trentenne, è stato ucciso per una lacerazione ai polmoni, dopo diverse incornate. l teatro dell’orrore ancora una volta un’arena, Teruel, in Aragona.

Lungi da me inutili moralismi, animali ne muoiono, al macello soffrono parecchio di più e la Corrida non è l’unica pratica opinabile in tal senso. Ma che pro viene alimentato questo spettacolo? Domanda inutile, retorica, lo so, il Dio denaro c’entra anche questa volta.

Un morto non cambierà nulla, anche questa volta. Di sicuro non sarò più spettatore di una Corrida e perdonatemi se mi viene da sorridere quella volta ogni 30 anni in cui ad avere la peggio è l’uomo

 

Immagina che non sia Stato

Immagina un uomo, tre figli, un lavoro che non lo soddisfa ma che gli consente di galleggiare. Ha studiato, ha sudato, ha scalato posizioni, ad un certo punto si è dovuto fermare. Non si è voluto arrendere al compromesso, la sua coscienza lo avrebbe divorato. Ben che vada lo Stato gli riconoscerà una pensione misera, mentre la banca non lo molla affatto: ha ancora un bel mutuo da pagare.

Immagina un uomo, imprenditore, ligio al suo dovere. Gli hanno chiesto il pizzo, non una ma dieci volte. Si è ribellato, ha denunciato, ha rietenuto fosse più importante guardarsi allo specchio a petto in fuori ogni mattina. Ha fatto il suo dovere, dovrebbe vivere tutelato e con tutte le protezioni del caso, garanzia minime di ogni Stato di diritto. Lo hanno abbandonato, giusto il tempo di farsi belli con operazioni di Polizia e encomi al questore, d’altronde una volta passata la bufera restano problemi suoi.

Immagina una donna, picchiata e soggiogata dal suo uomo. Ha paura persino della sua ombra, figuriamoci di denunciare. Un giorno decide di riprendere in mano la sua vita, denuncia il suo aguzzino e chiede tutela allo Stato. La macchina burocratica è lenta, la donna torna a casa, ad attenderla un marito e un coltello. Lo Stato partecipa ai suoi funerali, uomini eleganti e lacrime di circostanza, fino alla morte successiva, per gli stessi motivi.

Immagina un giovane ragazzo, ha studiato una vita, ha cambiato diverse città, si è sempre dato da fare, ricoprendo anche ruoli modesti pur di poter sbarcare il lunario. Si trova a 30 anni, nel Paese con uno dei più alti tassi di disoccupazione giovanile. Fa fatica a trovare un lavoro qualsiasi, non avrà mai la pensione. Accende il televisore e sente del solito scambio di mazzette tra politici, è costretto a spegnere, indignato e rassegnato, deve andare a distribuire volantini, nella mente le parole legalità e dignità, nel portafogli 50 euro che gli devono bastare per una settimana. Lo Stato si è dimenticato di lui. Il suo amico ricercatore è dovuto andare via, con il cuore piccolo e una nostalgia che non lo risparmia ancora, a distanza di anni.

Immagina un imprenditore che punta sui giovani, un esempio da seguire, virtuoso, un bell’ambiente in cui si respira aria di speranza. L’impresa esegue x lavori per lo Stato, ma i pagamenti ritardano, probabilmente non verranno mai fatti. I buoni propositi devono cedere il passo alla crisi, lo Stato si ripresenta, fiera sanguisuga, con Equitalia e il cappio al collo di cartelle esattoriali non pagate. Nascosto nel momento del bisogno, esce fuori prepotente quando c’è della carne da spolpare o quantomeno ciò che rimane.

Immagina poi una via importante di una grande città. Diversi clochard dormono appoggiati alle pareti. Lo Stato si è dimenticato di loro. A portare il cibo, ogni sera, un’associazione di volontariato, la stessa che gli fornisce coperte e prova a venire incontro ad ogni loro esigenza.
Sopra le loro teste gli uffici della Regione dove la macchina statale ordisce losche trame.

Immagina che tutto questo non sia vero o preparati a soffrire perché di giusto, in questo Paese, c’è poco e niente.

 

Cari finché conviene

Lo spunto è una notizia di cronaca di oggi: a Velletri, in provincia di Roma, la guardia di finanza ha scoperto una casa di riposo abusiva dove le persone ricoverate erano costrette a sopportare situazioni igieniche disumane. Fin qui, ahinoi, nulla di nuovo. In questi anni tanti gli episodi di violenza e trascuratezza hanno riempito le pagine dei giornali ma la notizia che ha dell’incredibile è che i familiari delle persone anziane ricoverate in questo “ospizio dell’orrore”, si sarebbero rifiutati di riaccogliere in casa i loro cari.
Nello specifico, questa la situazione: sei anziani, collocati, come fossero oggetti, su sedie o divani di fortuna, in camere privi di servizi igienici assistiti adatti a loro. Due grossi cani a fargli “compagnia”, anche loro trascuratissimi, nelle medesime condizioni.
I poveri sfortunati sono poi stati trasferiti su ordine dell’autorità giudiziaria in una struttura idonea.

Lungi da me fare moralismi fini a se stessi, i familiari degli anziani non avranno avuto spazio o possibilità di riaccogliere in casa i propri cari che, però, nel frattempo, evidentemente, sono diventati “cari” in altro senso, onerosi, scomodi.
Si è figli, poi si diventa genitori, ma non per questo si smette di essere figli. Si deve affermare con forza la propria indipendenza, ci si deve staccare dal cordone ombelicale della famiglia d’origine ma così come i nostri padri e le nostre madri si sono presi cura di noi durante la loro vita, non possiamo pulirci la coscienza così, “ricoverando” il nostro caro in una casa di riposo. Sono cari nel senso di scomodi, ci costringono a fare i conti con la nostra coscienza di figlio e per mettere a tacere la vocina ce ne laviamo le mani, così è più facile.

Legittimo pensare alla propria vita, a volte opportuno trovare una struttura che si occupi giornalmente del proprio genitore ma totalmente inumano piazzarlo lì e abbandonarlo, come una “cosa” qualunque, sangue del tuo sangue.
La coscienza è patrimonio di tutti, il fatto di metterla a tacere è prerogativa di alcuni, di certo una persona anziana ha bisogno di aiuto proprio come un bambino. Possiamo dire anzi che il nostro genitore potrebbe essere potenzialmente come un nostro figlio, per esigenze e bisogni.

Provate a pensare a questi sei anziani, maltrattati, gettati su un divano, senza alcun rispetto per la loro dignità. Davanti all’unica finestra di quella stamberga, a turno a guardare fuori, nella speranza che qualcuno li venga a salvare. Si sentono inutili, poi arriva il blitz della guardia di finanza e quella stamberga, la loro casa, non c’è più, hanno bisogno di un tetto.
Cominciano a risentirsi vivi, magari potranno riabbacciare i loro figli dopo mesi, dopo anni e invece no, nessuno li vuole, si sveglieranno l’indomani, in una struttura più bella e accogliente ma sempre soli e per giunta disillusi.

Indipendenza sì, ma non menefreghismo, così è facile, il senso di responsabilità messo in un angolo, così come il nostro caro che aspetta, ogni giorno, che da un momento all’altro qualcuno di “familiare” lo venga a trovare.

 

 

Dacca: l’amicizia oltre la barbarie

Dacca, uno sguardo oltre i nostri connazionali, la tragedia, i 9 morti, i due sopravvissuti.
Uno sguardo oltre la disperazione nostrana, le storie che coinvolgono le nostre regioni, i padri che non riabbraccerano più i loro figli, le madri separate dal loro sangue, gli amanti divisi, con un colpo secco.
Faraaz Hossain, bengalese, c’era anche lui quella sera in quel ristorante. Aveva un “vantaggio” rispetto ai molti altri presenti, conosceva il Corano, passe-partout verso la libertà, l’uscita da quella maledetta porta, dove tutto sarebbe poi ricominciato.

Era in compagnia di due amiche, Tarishi Jain, indiana di 19 anni e Abinta Kabir, entrambe studentesse del college americano Emory University.
Poteva uscire, insieme ad un gruppo di donne che indossavano il velo, erano le “virtuose” agli occhi di terroristi senza scrupoli. Erano tutti nel giusto, rispettavano Allah, l’ossequio alle più antiche tradizioni dell’Islam. Non Tarishi e Abinta, loro no, erano troppo occidentali.

Quella sera si erano vestite all’occidentale, un peccato “mortale”, una mancanza di rispetto agli occhi dei ricchi e capricciosi terroristi bengalesi. Loro dovevano morire, senza possibilità di appello, così come i tanti altri stranieri presenti, tra cui i nostri connazionali.
Erano entrati in un ristorante, in un giorno qualunque, per mangiare qualcosa.
Incoscienti! Non avevano imparato il Corano a memoria. Sprovveduti!
Sgozzati, senza se e senza ma, macchiati di un peccato indelebile.

Faraaz aveva tutte le carte in regola per essere considerato virtuoso agli occhi dell’Isis, ma ha deciso di non servirsene. Aveva le sue due amiche accanto. Sì, sarebbe uscito, libero e salvo mentre le altre due due venivano sottoposte a torture di ogni tipo. Qualche ora dopo sarebbero morte, senza lui. La coscienza non gli avrebbe dato tregua, per sempre, inchiodato al rimorso, anche se nulla dipendeva dalla sua volontà.

Ha assecondato la follia dei terroristi, sono morti tutte e tre, insieme, vicini, fino alla fine, con un legame indissolubile, nonostante il terrore. Le teste staccate dal corpo, le mani unite, un concentrato di umanità più forte di qualsiasi barbarie.