Ma tra uomini si parla di “violenza sulle donne”?

Femminicidio, l’ennesimo, ormai abbiamo perso il conto. Si dicono tante cose, alcune profondamente giuste, altre semplicemente no, in linea generale, come al solito, molta teoria e pochissima pratica.

Una legge per imporre l’insegnamento dell’affettività nelle scuole, ok buona idea, riusciranno i nostri eroi politici ad emanarla in tempi brevi?

Percorsi educativi per famiglie e operatori perché giustamente più di qualcuno dice che il problema non sono i figli ma i cosiddetti “nuovi genitori” che tralasciano, ignorano e non si impegnano ad espletare al meglio questa missione di vita.

Noi, come singoli uomini, ci indigniamo tutti, sui nostri social, diciamo che non siamo mostri, che la maggior parte degli uomini tratta bene le donne e le rispetta, ma tra di noi riusciamo a parlare di temi seri e complicati come “la violenza sulle donne”?

Facile parlare di calcio, motori, del più o del meno, ma siamo in grado di metterci in gioco su argomenti di attualità così scottanti? Di esprimere la nostra opinione? Di riprendere un amico che usa frasi sessisti o guarda una donna in un certo modo?

Perché è questo che può fare la differenza, perché una frase o un certo modo di squadrare può essere preludio di qualcosa di molto grave, perché combattendo nel quotidiano facciamo strada ad un nuovo modo di pensare e di agire che possa ripulire la società da una vera e propria emergenza.

Ciascuno di noi deve fare un passo per estirpare questa squallida cultura del possesso.

Non voglio diventare grande

Era il 1987, nascevo io e nasceva, neanche a farlo apposta, uno dei film che avrei visto di più e con più piacere, “Da grande”, interpretato dal grande Renato Pozzetto, una pellicola sempreverde tanto che è uscita l’anno scorso al cinema reinterpretata da diversi protagonisti.

Un bambino, stanco di non essere ascoltato dai genitori, esprimeva il desiderio di diventare grande, desiderio che veniva accolto, si trovava dunque nei panni del grande pur ragionando ancora come un piccolo ma alla fine del film puntualmente si pentirà di aver affrettato i tempi.

Sì, perché diciamocelo francamente, essere grandi non è affatto così stimolante mentre essere piccoli, per usare un gergo giovanile, è proprio una figata.

Curiosi, sorridenti, smaniosi di imparare, affettuosi, baci e abbracci, urla di felicità, i piccoli si accontentano di poco e ti costringono a tirare fuori il tuo lato bambino, aspetto che può anche salvarti la vita.

Cosa ci è successo crescendo? Perché abbiamo perso tutto quel patrimonio stupendo che il Creatore ci ha donato? Dove è la nostra spontaneità? Che persone siamo diventate inseguendo le nostre futilità?

I figli ti insegnano che essere bambini è davvero pazzesco, ecco perché quando mi trovo davanti un bambino che si lamenta perché vuole diventare grande, perché non gli è concesso niente, perché i grandi possono fare tutto…gli dico con un sorriso che “il mondo è dei piccoli” e che crescere non è poi così tanto bello.

In ogni caso dipende da noi, dalla capacità di salvaguardare il bambino che abbiamo dentro: lo perderemo, ma dobbiamo essere in grado di ritrovarlo sempre, di fare gli scemi, di ridere a crepapelle e incuriosirci per ogni cosa, di assecondare noi stessi, di abbracciare e baciare i nostri cari, di essere felici.

“Non voglio diventare grande”, posso dirlo anche adesso che grande lo sono già diventato?

Cosa significa essere uomini?

Sei uomo perché lo dimostri, con la tua forza, con le tue prese di posizione. E poi fai la guerra.

Sei uomo perché te lo impongono i maschi della tua famiglia, devi dimostrare, devi macinare, non fermarti mai. E poi esplodi.

Ti fermi un attimo, respiri, guardi il paesaggio a cui non avevi più fatto caso, tutto scorre, non sei padrone del tuo tempo, ti conviene essere uomo così?

E allora mandi a fanculo il mondo, il come deve essere, il come ti hanno insegnato, vuoi essere te stesso, uomo ma con alcune inclinazioni al femminile e meno male, dici, magari dialogherai e non distruggerai, appunto come fanno i “veri uomini”.

Piangerai davanti ad un film, urlerai alle persone care che le ami e che gli vuoi bene, accetterai i tuoi limiti, dovresti essere un maschio alfa ma a stento sai cambiare una lampadina.

Avrai problemi ad insegnare a tuo figlio le cose che fanno gli uomini veri, loro usano le mani per riparare ma anche per distruggere, magari gli spiegherai “solamente” come si rispetta il prossimo, come si ama disinteressatamente.

Sarai te stesso fottendotene di come deve essere, di come vogliono che sia, sarai libero di essere imbranato ma anche sentimentale, lento ma anche riflessivo, goffo ma anche “con i tuoi modi”.

Cosa significa essere uomini? E conviene davvero essere dei “veri uomini”?

La guerra è/non è una cosa seria

La guerra è una cosa seria, sconvolge abitudini e certezze, Lei scandisce il tuo tempo.

La guerra non è una cosa seria, ma che uomini sono quelli che uccidono per poteri e sciocchezze?

La guerra è una cosa seria, coinvolge civili e innocenti, è condotta sulla pelle dei più deboli, lacera famiglie e storie, non risparmia nessuno.

La guerra non è una cosa seria, la nostra vita non può essere un gioco da tavolo dove vince chi è più forte o chi ce l’ha più grande.

La guerra è una cosa seria, si innesca su equilibri sottili, ha ripercussioni devastanti sull’economia dei Paesi.

La guerra non è una cosa seria, un giorno un tizio può svegliarsi e decidere di mettere fine all’esistenza di un popolo, di scolorire il meraviglioso concetto di pace?

La guerra è una cosa seria, è ciclica, si ripresenta, non si impara nulla dagli errori, cattiveria e vendetta sono piatti da gustare freddi.

La guerra non è una cosa seria, la maggioranza è contraria e la maggioranza, in un mondo civile, vince sempre.

La guerra è una cosa seria, è territoriale, poi diventa sempre più violenta e ti ritrovi in un conflitto mondiale.

La guerra non è una cosa seria, non può esserlo, siamo nel 2022, è impossibile che esseri umani ci ricadano un’altra volta.

L’Italia è una Repubblica di morti sul lavoro

Il pranzo sul tavolo, alle 6 del mattino, 5 volte a settimana, l’attenzione di sua moglie per quello splendido lavoratore, operaio in fabbrica, marito esemplare. Quel lunedì non tornerà come ogni giorno a baciarla e abbracciarla, risucchiato da un forno, di lui è rimasto solo un mucchio di cenere.

Evita è una donna con gli attributi, non le interessano gli uffici con le vetrate e i comfort, lavora da 5 anni nel tessile, è puntuale, precisa e quando rientra a casa recupera tutto il tempo perduto con i suoi figli. Suo marito è scappato, i suoi figli sono destinati a restare soli, Evita quel martedì sarà l’ennesima vittima sul lavoro, i suoi titolari, per aumentare la produttività, non hanno mai sottoposto a manutenzione la macchina che utilizzava quotidianamente.

Due bustine di figurine ogni giorno, Marco e Luca attendevano quel rituale alle 17 in punto, il loro papà stanco, ma sempre col sorriso, non si dimenticava mai di loro. Lo amavano, lo rispettavano, a differenza del suo capo che lo mandava in cantiere senza caschetto e protezioni. Ha fatto un volo di 30 metri, la mattina di un mercoledì grigio, chissà cosa avrà pensato in quegli ultimi attimi terribili.

Alba correva, era il suo sfogo, un rituale imprescindibile, le sue gambe come la sua mente e il cuore, volavano all’unisono. Anche lei ha fatto un volo, alla guida di quel maledetto furgoncino della ditta presso cui lavorava, le ruote lisce, i freni compromessi, produrre e ridurre le spese, eccola lì, non può più volare, rimane seduta su una sedia a rotelle in un giovedì che non scorderà mai più.

Abdul è venuto in Italia con un barcone, credeva di trovare l’Eldorado ma ha trovato la morte di venerdì, bracciante nei campi a 2 euro l’ora, sotto il sole e sotto la pioggia, dodici ore al giorno, era alla guida di un trattore mai sottoposto a revisione, il suo capo l’ha sostituito dopo poche ore con un altro ragazzo, the show must go on.

Tre amici sul luogo di lavoro e nella vita, anche quella mattina di sabato, a fare gli straordinari, poche ore prima avevano scattato un selfie felici e sorridenti, poi il tonfo, la gru si piega e cade, saranno solo altri tre morti sul luogo di lavoro, numeri.

Domenica, un-due-tre-quattro, si contano le vittime, i politici parlano, i sindacati si attivano, comincia un’altra settimana, continuano le morti sul lavoro mentre intere famiglie piangono.

Fanculo alla violenza

Fanculo alla violenza, alle urla che coprono il dialogo, alle botte che oscurano la diplomazia.

Fanculo alla violenza, alle guerre combattute per denaro, finiamo tutti nello stesso fosso e senza denaro.

Fanculo alla violenza, ad uomini e donne trattati come oggetto, i sentimenti non puoi metterli a tacere.

Fanculo alla violenza, alle cattive notizie in prima pagina, alle buone notizie sempre dietro le quinte.

Fanculo alla violenza, una parola uccide più veloce del veleno, veloce da dire, macigno da dimenticare.

Fanculo alla violenza, a quella frase non detta che avrebbe potuto cambiare la storia.

Fanculo alla violenza, diverso non è peggio ma un’occasione di confronto e crescita.

Fanculo alla violenza, ti fanno sentire un piccolo uomo ma dentro di te sai che sei un gigante.

Fanculo alla violenza, quella che si porta tutto, anche la splendida innocenza di un bambino.

Fanculo alla violenza, ora e sempre.

Ti ricordi com’era prima?

Ricordi sbiaditi, dopo poco più di un anno, c’è un prima e c’è un dopo, ma dove sta la normalità?

Ti ricordi com’era prima? Andavi in un posto e non ti importava se vi fossero 10 o 1000 persone, urtavi la gente, la gente ti urtava, ma quello dipendeva da una tua punta di asocialità. Insomma potevi scegliere se andare in mezzo al casino o starti rintanato con pochi intimi.

Il respiro regolare, la macchina sempre calda, l’orologio importante ma non così come adesso, non c’era nessun coprifuoco, se non quello imposto da una mamma apprensiva, “devi tornare a mezzanotte se no sono guai”, ora torni alle dieci se no sono guai in un altro senso.

Ricordi la bellezza dei bambini abbracciati? Le partite di pallone tutti sudati? Le tavolate che non finivano mai, le riunioni di famiglia dove non mancava nessuno, la libertà di tossire o starnutire (con la mano davanti) senza pensare necessariamente di essere portatori di virus.

Ricordi quando non conoscevi la parola lockdown, quando le pandemie le guardavi solo nei film, quando credevi che il tuo equilibrio potesse essere scalfito solo da te e dalle persone vicine?

Ricordi quando non vedere i tuoi genitori o i tuoi amici era solo una tua volontà (giusta o sbagliata che fosse)? I tuoi amici ti facevano incavolare con le loro manie, ora quando li vedi sembra essere sempre Natale!

Ricordi quando credevi di avere tempo infinito? Quando pensavi che le malattie capitassero sempre agli altri? Ora hai nemici ovunque, anzi anche tu sei nemico di te stesso e non te ne accordi.

Adesso hai difficoltà ad immaginare, i contorni sono sempre più sfocati, è passato poco più di un anno ma lo senti sulla tua pelle come se fosse una vita intera.

Era normale un tempo? Ed ora è tutto così strano è sbagliato? Ne siamo davvero sicuri?

Ti ricordi com’era prima?

Donne in pasto ai porci

Mi scuserete anticipatamente per i toni forti di questo articolo, d’altronde il titolo parla già da solo

Ma stare zitti non si può, almeno non più, non l’ho mai fatto in questo blog.

Mi scuserete anche se richiamo un’agghiacciante vicenda di cronaca, quella che ha visto una donna calabrese data letteralmente in pasto ai maiali dopo essere stata uccisa.

Qui si parla di libertà, di gesti essenziali, di normalità violata, qui si parla di donne impaurite, limitate, costrette.
Le palestre chiuse, le giornate che diventano sempre più lunghe e belle, la voglia di evadere, di una passeggiata nei boschi, di fare jogging per mantenersi in forma, l’estate è vicina e porta con sé tutta la voglia di riprendersi la propria vita.

“Se sei bella ti tirano le pietre, se sei brutta ti tirano le pietre”, diceva una canzone che sottolineava che qualunque aspetto fisico avessi eri destinata a prendere pietre in faccia dalla vita.

Cosa è cambiato? Nulla, anzi tutto è peggiorato tanto che se sei donna non puoi andare a fare una passeggiata in centro senza che dei zoticoni ti fischino o ti squadrino con fare perverso.

Se hai cura di te e vuoi andare a fare jogging devi avere mille occhi, possono arrivare da destra, da sinistra, davanti o di dietro, per loro sei un oggetto, se ne fottono delle conseguenze.

Pilastri della società, equilibratrici, portatrici di sensibilità, le donne posseggono tutte le virtù di questo mondo ma sono spesso date in pasto ai porci, alcune hanno rinunciato a tutto per scampare ai pericoli, altre sono ostinate, libere, rivendicano il proprio essere Donna ovunque, non hanno paura delle conseguenze e se la hanno la mascherano bene, comunque la voglia di vita normale prevale su tutto.

Soluzioni? Educare gli uomini al rispetto delle donne sin da bambini, “deporcizzare” le bestie con pene esemplari, aumentare i controlli, fare informazione e prevenzione.

Ma vogliamo veramente consegnare alle generazioni future un mondo dove una donna non possa correre liberamente quanto e dove vuole?

Il vaccino della normalità

Prendi e lascia, ti illudi e ti disilludi, è un periodo così.
Agghiacciante per certi versi, sorprendente per altri, assapori il tuo gelato e te lo tolgono dalle mani subito dopo. Vivi qualche settimana e poi ti limiti a sopravvivere, ti vaccini e speri, poi senti peste e corna sui vaccini, ma cosa sta succedendo?

Magari vedi come una chimera la tua dose, ancora i tempi sono lunghi, ti aggrappi all’idea di poter tornare alla normalità più di qualche giorno, ti senti derubato, dire che davi per scontata la tua libertà!

Dai e ti prendi affetto, poi ti mettono un muro e devi ricominciare tutto daccapo. Ti dicono un anno, poi gli anni diventano due e intanto un pezzo di vita se ne va, senza che tu le abbia dato il permesso.

Astrazeneca, Pfizer, Moderna, Johnson, il vaccino inglese, italiano, americano, russo, non si capisce più niente, noi aspettiamo, al nostro posto, forse anche troppo al nostro posto, un velo di rassegnazione si è impossessato di noi e non vuole lasciarci andare.

Ammettiamocelo, amiamo alla follia la normalità e lo abbiamo capito in questi pizzichi di libertà che ci hanno concesso tra una zona rossa e una zona arancione. Il mare ci è sembrato stupendo e coloratissimo, il cielo azzurro un’opera d’arte, il sole rigenerante, la montagna ancora più maestosa.

Quanto ci è apparso bello pranzare in famiglia, sorridere tutti insieme tra una mascherina e l’altra, andare a fare la spesa o passeggiare in un parco, anche i nostri amici pieni di difetti ci sono sembrati perfetti e amabili.

Per questo dobbiamo essere uniti verso la stessa meta, perché non possiamo fare a meno della normalità e il suo vaccino è la soluzione per riprenderci la nostra vita.

Mi ha fatta nera in zona rossa

Giallo, arancione, rosso, le Regioni si tingono, ma il mio incubo ha un unico colore. Lockdown, una parola che per molti è divenuta familiare nell’ultimo anno ma che per me è purtroppo conosciuta. Anche quando tutti eravate liberi io non lo ero, avevo limitazioni nell’uscire, nel frequentare amiche, impossibile poi frequentare persone di sesso maschile.

Il mostro l’ho scelto io, me ne sono innamorata, sembrava l’uomo perfetto, sì ok ogni tanto perdeva la pazienza, sono cose che capitano, mi dicevo. Ed ora come siamo finiti qui? Questa casa non è la mia casa, è la mia gabbia. No, nessuna gara di dolci, nessun impasto in allegria, non mi sono goduto il mio compagno, ne sono diventata ancor più dipendente.

Ha perso il lavoro, è nervoso, è costretto a stare a casa e non sa con chi prendersela, io sono la cosa che gli capita a tiro, sì, avete capito bene, per lui sono come una cosa, come la sedia che scaraventa a terra quando l’arbitro non dà un rigore alla sua squadra, come quel bastone con cui mi percuote con sadico piacere, sono come il tostapane della cucina con cui pretende 4 fette tostate alle 8.00 in punto di ogni mattina.

Vivo per lui ma non come vorrei, l’ho scelto ma non ho scelto quello che è venuto dopo, ho chiamato un numero verde, stavo provando a rialzare la testa ma tutto rigorosamente di nascosto, quando ho provato a ribellarmi mi ha regolato in un attimo, ancora ne porto i segni.

Mi stava balenando in testa anche l’idea di denunciare, poi è arrivato il Covid, il virus che ci ha confinati a casa, adesso sono come un sacco da boxe, non ha con chi sfogarsi se non con me. Spero di uscirne, di non essere l’ennesima donna sulle prime pagine dei giornali per femminicidio, spero che qualcuno si accorga di me.

Mi ha fatto nera anche in zona rossa, il dolore fisico è quasi pare al dolore al cuore.