Il diritto di morire in pace

Un assedio, un vero e proprio “bordello” mediatico, tutti a dire la propria, tutti massimi esperti. Dj Fabo e il suo desiderio di morire, da realizzare fuori dall’Italia, in Svizzera per la precisione, perché ogni velleità di eutanasia, nel nostro Paese, è rispedita con forza al mittente.
Sono profondamente scosso per tutto questo casino, per una vita che se ne va dopo anni di sofferenza, per gli sciacalli mediatici che sono saliti anche in questo carro, l’ennesimo.

Dj Fabo non voleva che succedesse tutto questo, ha denunciato, tramite le Iene, le sue sofferenze e l’indifferenza del nostro Paese verso chi versa nelle sue condizioni. Dj Fabo viveva a mille la sua vita, piede costante sull’acceleratore, musica e nottate insonni. All’improvviso si è trovato fermo, paralizzato, cieco. Una vita che non era più vita, era nato per spaccare il mondo e si è ritrovato legato, costretto, senza più alcuno stimolo.

Io non condanno, io non assolvo, io non sono giudice. Non mi ergo a paladino della verità, non so quale sia la soluzione giusta. Non uso una vicenda “umanamente” drammatica come veicolo di propaganda politica, non strumentalizzo il dolore di una fidanzata innamorata, non dico che sia giusto morire né che sia giusto vivere in quelle condizioni.
Io non riempio twitter di mille pensieri, bacchettando chi la pensa diversamente da me.
Io rispetto una pagina umana che fa male, perché una vita se ne è andata, insieme al suo dolore trascinato ormai troppo a lungo.

C’è il diritto alla vita, riconosciuto dalla nostra Costituzione.
Riconosciamo anche il diritto alla morte, il diritto di morire in pace

Due disabili e la politica “alla siciliana”

Gianluca e Alessio Pellegrino, due ragazzi disabili a Palermo. Non è una favola, ma l’ennesima brutta storia tutta all’italiana, nata da una denuncia, protattasi nel tempo, delle Iene. Una trasmissione televisiva che arriva laddove il singolo cittadino non può arrivare, strozzato dalla burocrazia, respinto dalla strafottenza, annichilito dai giochi di potere.
Qui tutto è più grave però, perché Gianluca e Alessio necessitano di un’assistenza continua, sono tetraplegici. No, non parliamo assolutamente di pietismo, Gianluca e Alessio ragionano bene, meglio di chiunque altro, non sono fessi e contribuiscono a smascherare le “porcheri”e dell’assessore della giunta Crocetta, Gianuca Miccichè.

Il non fare, a volte, è peggio del fare male o fare illegale e Gianluca e Alessio aspettano da più di un anno il risconoscimento di un loro diritto: l’assistenza 24 ore su 24 avendo un’invalidità totale. Dopo il primo servizio delle Iene le ore di assistenza passano da 3 a 5, un contentino, come se Gianluca e Alessio avessero scritto sulla fronte “giocondo”.
Sono fermi, immobili e per molti possono apparire anche innocui, al diavolo dunque la giustizia e il riconoscimento dei diritti, si continua a fare politica “alla siciliana”.

3 ore di assistenza in origine, 5 attuali, 24 ore necessarie, tutti numeri, a cui si aggiunge, in un’illogica ruota di Palermo, anche l’8, come le ore di attesa al freddo, che Gianluca e Alessio si sono dovuti sorbire per aspettare sempre lui, Gianluca Miccichè, assessore regionale alle Politiche sociali, che, da gran signore, non li ha degnati della sua preziosa presenza.
Dopo il servizio andato in onda, il nostro Gianluca assessore, è però andato, da gran signore, a casa dei nostri Gianluca e Alessio e, sempre da gran signore, ha chiesto ai due una mano, per conservare il posto e per smorzare le polemiche.
No, non è uno scherzo, l’assessore Gianluca chiede aiuto a due ragazzi tetraplegici che da oltre un anno chiedono il riconoscimento di un diritto essenziale.

Altro servizio delle Iene e dimissioni di Miccichè, con i nostri due amici che dovranno confrontarsi con altre cime e con un sistema marcio sin dalle radici.
Perché, ve lo dice un siciliano, la Regione Sicilia non ha la minima idea di cosa possa significare “politiche sociali”, noi la politica la facciamo a modo nostro, ci piace dare spettacolo, facciamo commedia sulla vita delle persone.

Diversità, esci da questo corpo!

Seguire la massa conviene? Omologarsi alla maggioranza è una tutela o l’occasione mancata di poter essere esclusivamente se stessi?
Proverò a rispondere a questa domanda, a modo mio.

  • Ho visto persone deridere chi aveva difficoltà in un parcheggio o ragazze che si lamentavano, per lo stesso motivo, della poca virilità di un uomo (poi lasciato)
  • Ho assistito a derisioni di ragazzi in carne (lo ero anche io) e di ragazzi colpevoli di essere con la testa sulle spalle.
  • Ho sentito adulti urlare la loro superiorità ai propri figli, salvo poi comprarseli con pile di giochi ultramoderni
  • Ho visto un gruppo di ragazzi evidenziare incessantemente l’handicap di un altro ragazzo
  • Ho ascoltato datori di lavoro preferire la raccomandazione alla creatività
  • Ho sentito gente sorprendersi davanti ad una persona adulta single o ad una coppia adulta senza figli

Diciamo le cose come stanno: l’omologazione rassicura tutti perché tutti si ritrovano a fare sempre le stesse cose. Ma la realtà è questa:

  • Chi deride credendosi perfetto, rappresenta quasi sempre ciò che di più lontano esista dalla perfezione
  • Bullo è chi deve prevaricare soggetti che hanno apparentemente raggiunto l’equilibrio che egli stesso agogna
  • Genitore non è chi compra mille giochi per non riconoscere la sua assenza o chi si erge ad essere superiore per coprire la sua instabilità nel mondo
  • Chi si sofferma su un handicap altrui credendo di essere superiore, in realtà si rode il fegato davanti alle imprese di persone che con meno risorse (almeno sulla carta) riescono a raggiungere risultati ben più grandi e tangibili.
  • Conteniamo e isoliamo la creatività perché abbiamo una tremenda paura di tuffarci nell’ignoto
  • Non tutte le famiglie con figli sono la giusta miscela di sentimenti. Spesso prevale la paura di non rimanere soli e l’esigenza di dover soddisfare standard sociali ben definiti

Al posto di aiutare una persona in difficoltà la deridiamo. Abbiamo rinunciato alla libertà per seguire il gregge. Non seguiamo la nostra personalità, fatta di pregi e difetti e la sacrifichiamo sull’altare della sicurezza. Appena una pecora scappa la additiamo, la rimproveriamo, la deridiamo. Provate ad aiutare una persona in difficoltà e guardate quante volte vi ringrazia per un gesto così naturale: lì sta la sconfitta dell’intera umanità.

Abbiamo paura, a volte si chiama invidia, per chi ha deciso di essere diverso o per chi ha accettato la sua diversità e ne ha fatto il suo punto di forza, per chi ha voluto a tutti i costi spiccare il volo sulle ali della propria personalità.

Le Paralimpiadi e l’handicap dei “normali”

“Che palle, è lunedì, non voglio alzarmi per andare a lavoro”.
“Ho la febbre, è la seconda volta in questo mese, tutte a me capitano”.
“Sto tutto il giorno al computer, mi bruciano gli occhi, che vita di schifo”.
Aggiungete a vostro piacimento altre frasi che diciamo tutti i giorni.
Sì, ammettiamolo, ci lamentiamo (quasi tutti) per qualsiasi cosa, pensiamo che la nostra vita sia di molto peggiore rispetto alla media e non ci soffermiamo, se non per qualche frangente, su chi invece sta obiettivamente più male di noi.

Abbiamo storie di eroi che sorridono pur convivendo con una malattia terribile ma abbiamo anche splendidi esempi di personaggi che hanno deciso di continuare, alla grande, nonostante le circostanze della vita palesemente avverse.
Le Paralimpiadi sono un’occasione straordinaria per conoscere questa forza prorompente, uno sbalordimento continuo, un inno alla vita.
Inutile negarlo, ci sentiamo minuscoli, non riusciamo a capacitarci di come un atleta senza braccia possa rimanere ancora atleta e mantenere prestazioni eccellenti, di come una gamba non sia necessaria per arrivare al traguardo prima di altri, di come una sedia a rotelle possa diventare la fuoriserie più veloce del pianeta.
Ci sembra impossibile che si possa fare sport senza la vista, che si possa migliorare oltremodo la potenza delle braccia per tirare la stoccata vincente in una pedana o addirittura che si possa nuotare senza avere tutti e quattro gli arti.

Gli atleti paralimpici hanno compreso il segreto per controllare il proprio corpo, semplicemente hanno un gran controllo della loro mente. Fanno esattamente ciò che vogliono e quando vogliono, superano costantemente i loro limiti, inventano modalità con cui fare le stesse cose di prima nonostante un handicap.
Forse allora, non è poi così difficile alzarsi la mattina dopo una nottata di bagordi senza lamentarsi, forse dovremmo imparare a guardare le cose che abbiamo e ringraziare chi ce le ha date, forse dovremmo assorbire la lezione in silenzio

Chi ha meno, riesce a sfruttare al meglio le sue risorse. Invece di sentirci piccoli davanti a questi eroi, probabilmente sarebbe opportuno cominciare a tacere ed apprezzare la vita, in quanto tale.

Il “normale”, il disabile e l’idiota

Ho una visione tutta mia della disabilità e la vita di tutti i giorni e le esperienze nel volontariato non fanno altro che confermarla.
Come sempre, mi piace partire dalla definizione: la disabilità è la condizione di chi, in seguito a una o più menomazioni, ha una ridotta capacità d’interazione con l’ambiente sociale rispetto a ciò che è considerata la norma, pertanto è meno autonomo nello svolgere le attività quotidiane e spesso in condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita sociale (Wikipedia).

Io non sono d’accordo su molte cose e vi spiego subito il perché.
Sono stato a contatto, diverse volte, con le persone disabili. Sindrome di down, difficoltà motorie, autismo, ritardi mentali di vario tipo e altre tipologie. Ho notato un’incredibile sensibilità e una capacità unica di manifestare i propri sentimenti, accompagnate da una semplicità dei gesti e un amore spesso incondizionato.
“La ridotta capacità d’interazione rispetto a ciò che è considerata la norma”. Ma appunto qual è questa benedetta norma? L’aggressione di Olbia, col 27 enne Bachisio Angius, protagonista di un’aggressione ai danni di Luca Isoni, un 37 enne di Olbia con disabilità psichica, è solo l’ultimo episodio dell’escalation della follia.

Il ragazzo “normale” ha chiesto scusa con riserva, giustificandosi, dicendo che non sapeva di avere a che fare con un disabile e sostenendo di essere stato provocato. Dichiarazioni di circostanza per preparare un’eventuale difesa.
Il ragazzo con disabilità, spesso e volentieri, ti chiede scusa a prescindere, anche per un’inezia, perché non possiede filtri che limitino i suoi sentimenti: o troppo o troppo poco, ma senza alcun ragionamento di convenienza

L’uomo “nella norma”, riprende un altro uomo che picchia una persona “non nella norma”. Non dice nulla, spesso aizza l’amico, arringa la folla. Sorrisi ebeti, compiacimento e subito a postare i video sui social network.
L’uomo disabile non solo prova a giustificare l’uomo “normale”, dicendo di essere caduto dalla moto, ma non reagisce nemmeno, non vale la pena di fare le fine delle bestie.
Sfodera i suoi sentimenti, ti conquista con un sorriso, con un fiore raccolto in un giardino. Dagli in mano un cellulare degli anni 90′, altro che smartphone da 1000 euro, sarà il dono più prezioso che potrai fargli.

Che bello essere “fuori dalla norma” in un mondo così brutto!
E se provassimo noi ad entrare nel loro bellissimo mondo senza trincerarci dietro giustificazioni del tipo “sono persone difficili, disturbate, non capiscono”.
Per me invece, hanno davvero capito tutto, esprimono sensibilità allo stato puro mentre noi siamo incapaci di rapportarci al loro modo di essere. Convivono con le difficoltà di tutti i giorni ma non passano ore a lamentarsi come noi “normali”. La verità è che siamo spaventati dalla loro assenza di filtri e dalla loro scintillante sensibilità.
Non diamo la colpa a loro se non riusciamo ad immedesimarci nelle loro vite e nelle loro esigenze.
Ci sono le persone cosiddette “normali”, i disabili e poi ci sono gli idioti, non è una forma di disabilità riconosciuta ma è molto più grave, puoi addirittura arrivare a picchiare un disabile per poi condividere il video su Facebook.