Il terremoto ti riporta con i piedi per terra

Sono a casa, queste quattro mura, sempre le stesse. Accanto la mia famiglia, sempre la stessa, le solite lamentele, sorrisi veri che si mischiano a quelli falsi, è così tremendamente noioso, sempre qui, a fare le medesime cose, a mangiare insieme, forse a sopportarci vicendevolmente.

Siamo tutti, non manca proprio nessuno, anche la zia, insopportabile con la sua boria! Sì, vero, è l’unica occasione per stare insieme tutto l’anno. Mia madre sempre a lamentarsi, i cugini urlano, voglio a tutti un gran bene ma non potrei mai dirglielo, ho tempo e, in ogni caso, non è da uomo.

Il solito senzatetto davanti alla chiesa, mi domanda dei soldi per suo figlio, io non ne ho, ad ogni modo potrò darglieli domani, è sempre lì, a dire le stesse cose.

Finisco di sbrigare le ultime cose in ufficio mentre con un occhio scorgo l’ennesimo annuncio di lavoro ideale per me. No, non sarò mai in grado, in ogni caso ho tempo, manderò il curriculum domani.

I miei figli reclamano spazio, vogliono giocare con me prima del cenone, ho del tempo libero in effetti ma sono troppo stanco per dargli retta. Un giorno in più o un giorno in meno non cambierà il loro affetto nei miei confronti.

Mia moglie si sta preparando per la festa, la vedo bellissima mentre si trucca, sono tentato di cingerla da dietro e sussurrarle “ti amo“, non lo faccio, sono ancora arrabbiato con lei per quella discussione, in ogni caso lo farò domani.

Adesso sono fuori, non ho mai desiderato essere a casa come in questo momento, urlo cercando traccia dei miei affetti. Voglio dire a mia madre che le voglio bene, voglio urlare a mia moglie che la amo, voglio giocare a palla con i miei bambini, sfruttare le occasioni per essere finalmente me stesso.

Da lontano scorgo il senzatetto, sempre lui,si precipita a darmi una mano, adesso siamo nelle stesse condizioni, anzi no, io sono un uomo che rimpiange, lui è un uomo che non prova risentimento, nonostante quell’euro non dato.

L’orologio è fermo a quell’ora, i resti del cenone sul tavolo, il terremoto ha lasciato alcune cose, ha graziato la mia famiglia, ha spazzato la mia arroganza, mi ha finalmente riportato con i piedi per terra.

Gli smartphone li puoi spegnere, i sogni no

Smartphone nelle mani, ultimo grido, no, non un telefonino modesto che serve solo per chiamare. Se domandi loro perché hanno comprato il cellulare così presto a loro  figlio ti dicono che così si sentono più sicuri. 300-400-500, a volte 1000 euro per un bambino di 9 anni, quando per fare una chiamata e dire: “mamma sto bene” ormai basterebbero una manciata di banconote di piccolo taglio.

Un anno e via di smartphone, le dita che corrono frenetiche sullo schermo, la manualità prestata all’elettronica mentre i lego, le costruzioni e i soldatini giacciono sconfitti in una cesta. Poi succede che il telefonino si rompe o viene sequestrato e sei costretto a percorrere delle alternative, magari un bel cartone della Disney come si faceva ai vecchi tempi.

Nei cinema torna Mary Poppins e noi riprendiamo quel sogno interrotto bruscamente, quando all’epoca bastava poco, canzoni, colori ed emozioni. Chissà che effetto potrà fare un film/cartone che per l’epoca appariva come rivoluzionario ai bambino moderni, ora che di effetti speciali è pieno il cinema. Con Mary Poppins potevi pensare di entrare in un quadro e viverne lo scenario, potevi trasformare una cosa noiosa, come rassettare la stanza, in un gioco divertente, addirittura potevi ridere di un evento negativo voltando subito pagina.

I nostri bambini imparano col cellulare ma stanno troppe ore davanti lo schermo, spesso, dopo una vera e propria maratona, premono il tasto off e tutto svanisce, dentro non è rimasto niente. Eppure basterebbe un play per riattivare la fantasia, con la bocca spalancata dallo stupore e la mente che vaga senza una precisa meta.

I sogni rimangono intatti, non possiamo spegnerli. Sì, li mettiamo a tacere, li confiniamo in un angolo, ci convinciamo che non esistano più e che ne possiamo fare a meno ma quelli resistono ed escono fuori al momento opportuno per regalarci una boccata di ossigeno.

I bambini sono i sognatori per eccellenza, hanno il diritto di perdersi con la mente, devono fare esercizio di fantasia. D’altronde la lotta è impari perché gli smartphone li puoi spegnere, i sogni no.

L’insostenibile inutilità del giudizio

Chiacchieroni, tromboni, blaterano in ogni occasione, alzano la voce sempre, come a dover sopperire la pochezza dei loro contenuti.

Giudizio, parola antipatica, quando ci si erge a giudici pur non avendo fatto il necessario percorso “accademico”. Il dito puntato, lo sguardo inquisitorio, si vive la propria vita ma si pretende di controllare le altre, della serie io faccio così, tu non puoi fare altrimenti.

L’aria di “superiorità” che si respira in certi ambienti è stucchevole. Li chiamano professionisti, molti lo sono, ma la professionalità non basta per stare in questo mondo.

Li trovi lì sui loro macchinoni, con quella bava alla bocca che si alimenta ogni giorno di più, soldi-potere, potere-soldi, successo-fama, un continuo ping-pong con la pallina che va sempre più veloce.
Fin qui nulla di strano, vivi la tua vita tranquillamente, la rispetti pur non condividendola, i tuoi valori sono altri. Magari sì dai, un’idea te la sei fatta su dove stia la ragione ma non hai bisogno di sbandierarla ai quattro venti.

Accade però che un giorno il chiacchierone incrocia la tua strada. No, non ti taglia la strada con la sua Lamborghini mentre tu arranchi con la tua Panda, le sue parole hanno un preciso obiettivo, tu e precisamente la tua “mediocrità“.

“Come fai ad essere felice guidando quella carcassa? Lavori sei ore al giorno, non fai una mazza, sei un parassita della società. Perché quel sorriso idiota quando ti ritiri in quella topaia che tu chiami monolocale?”

Ok, sembra essere abbastanza, ma il trombone ha ancora frecce al proprio arco, tanto è impegnato che si ferma a parlare ancora con te, lavora otto ore ma una la dedica al tiro al bersaglio dei “sempliciotti” come te.

“Guadagni troppo poco, come è possibile che non hai ambizioni? Fai una merda di lavoro, nel 2018 non puoi non essere un professionista, medico, avvocato, giudice, scegli tu. E poi torni ogni giorno a casa dalla stessa moglie, certo non hai i soldi per “mantenere” tutte le belle donne che mi posso permettere io”.

Tu sei lì, tra il basito e l’incazzato, poi lo guardi bene in faccia e capisci che non ne vale la pena. No dai, tu hai dei valori diversi, hai ben chiaro il quadro della situazione, no, non puoi abbassarti allo stesso livello, a che ti serve ricordargli che di quelle otto ore di lavoro un’altra la passa a provarci con la segretaria e un’altra ancora per i bar della città intrattenendo relazioni discutibili. Pensi che sottolineando la gratitudine di tuo figlio lui possa cambiare idea?

Bravo vedo che hai capito, un bel sorriso e torna alla tua bella e “ricca” esistenza.

Il nastro dei sogni e le forbici della speranza

Immaginate un paio di forbici e un nastro, a cosa pensate se non ad un’inaugurazione, all’inizio di qualcosa? Prendete un piccolo guerriero che in quei luoghi c’è stato, ha combattuto ed ha vinto, celebratelo col suo nome, Simone, fatevi raccontare da lui da quanto calore è stato avvolto, quanta forza ha tratto da quel luogo colorato.

Le Lega Ibiscus Onlus, Lega per la ricerca ed il trattamento della Leucemia e dei Tumori infantili, ha raggiunto un altro straordinario traguardo, l’ampliamento della sua ludoteca, una possibilità in più per offrire svago e riparo gratuito a famiglie e bambini colpiti dal dramma del tumore.

Simone ha finalmente avuto il suo momento di gloria, la vita gli ha consegnato il suo meritato paio di forbici, per dare ad altri bambini la stessa possibilità di sognare, in una piccola oasi felice in quel di Via Santa Sofia a Catania.

Si può fare festa e anzi si deve fare festa, per i genitori che non mollano mai, per i volontari che ci sono sempre, per i medici e infermieri che continuano a crederci e soprattutto per i bambini a cui non si può chiedere di perdere il sorriso.

Una ludoteca più grande corrisponde ad una maggiore possibilità di sognare, una semplice forbice separa la realtà dal sogno. Tutti possiamo tagliare, basta un semplice gesto, bastano le nostre azioni quotidiane, basta mettersi in gioco, donando il nostro tempo, il nostro buonumore e anche i nostri soldi.

I piccoli guerrieri ci ricordano che non possiamo mai smettere di sognare, la Lega Ibiscus, con le sue attività, ci fa capire che si può sempre migliorare e che la solidarietà è il motore più potente che ci sia. Risolve problemi pratici laddove le istituzioni stentano, muove il mondo dalle fondamenta, nobilita il territorio dove risiede.

Il segreto? Nella semplicità, nelle azione quotidiane, nei sacrifici. L’elemento imprescindibile? Un bambino come Simone, l’esempio che dona la forza per andare avanti, più forti e compatti di prima, perché dare quotidianità e serenità ai nostri piccoli eroi è un dovere di tutta la società.

E adesso tocca a noi, prendiamo le nostre forbici e cominciamo a tagliare il nastro che ci separa dal mondo dei sogni, qui dalle parte di Ibiscus hanno capito come si fa già da un po’….