L’ultimo abbraccio

Tutto rigorosamente all’improvviso. Una tosse, preludio ad una banale influenza? No, perché tutto è precipitato, la corsa in ambulanza, i respiratori, i tubi, le maschere con l’ossigeno e poi non ho saputo più nulla e in quel poi c’è tutta l’importanza di questa vita.

L‘ospedale si erge maestoso sulla strada, quante volte ci siamo passati per andare allo stadio, era solo una tappa che si presentava sulla traiettoria, adesso lo stadio è lontano, la tua esistenza si gioca in una di quelle camere.

Sono qua fuori, non mi puoi vedere, spero tu mi possa sentire perché urlo qui fuori come un pazzo, cerco di catturare la tua attenzioni, ti dico di non mollare, che abbiamo ancora belle pagine da scrivere, che devi conoscere meglio tuo nipote.

La sera torno distrutto dalla mia famiglia e piango, solo lì, solo tra le mie 4 mura, protetto perché di fronte all’ospedale devo rimanere forte, per me, per te, per tutti noi.
Rimanere forti, cosa ci ha portato…quel maledetto orgoglio che non ti fa baciare e abbracciare i tuoi cari, perché non è da uomini, perché ci sarà sempre il tempo per farlo. Ma quanto siamo idioti!

Accendo la tv e sento il delirio, c’è chi nega questo virus infame, chi dice che sia tutta un’invenzione. Domani sarò lì, ancora sotto quell’ospedale, con la paura che questa “invenzione” possa portarti via.

Ma tu sei troppo forte per andare via senza quell’ultimo abbraccio che abbiamo rimandato troppo spesso. Dieci anni fa fu l’incidente e poi la caduta alle scale, quella brutta infezione ecc.. Questa è un’altra tappa della tua carriera da paziente, quando vincerai ti daranno l’ennesimo bollino della tua raccolta fedeltà.

Eccomi qui, sono sempre più carico, urlo, ti sostengo, non mi puoi vedere. Uscirai fra poco, hai vinto la guerra, sì, sarà proprio l’ultimo abbraccio da persone orgogliose, ce ne daremo tanti e altri ancora da persone libere.

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