“Piango ma sembro invisibile”

Che meravigliosa giornata, come tutte del resto, ogni occasione è buona per sorridere, per divertirsi, per camminare qua e là, quanti giochi poi, ogni giorno riserva delle sorprese!

Ho giocato col mio amichetto, adesso coi nonni, la mia casa è sempre piena di persone e io la adoro, non mi stanco mai, non posso stancarmi a quest’età.

Tutto bello, bellissimo, fino al momento in cui cala il sole, arriva la luna, il buoi ed il buio non mi è mai piaciuto.

Mamma e papà sono insieme, finalmente, lavorano tanto, forse troppo, la sera li ho accanto entrambi ma succede sempre qualcosa che rovina tutto.

Parlano tra di loro e mi escludono, mi considerano troppo piccolo, pensano che io non capisca nulla.

La loro voce aumenta sempre più di volume e io comincio a tremare dentro, non voglio che percepiscano qualcosa, provo a stare bravo nel seggiolone a giocare col mio nuovo pupazzo ma…

Discutono, adesso urlano, se ne dicono di tutti i colori, io sono ancora piccolo ma già molte cose le capisco, vorrei farmi minuscolo in un angolo della casa ma il seggiolone mi opprime, è la mia prigione.

Discutono sempre più forte, sbattono le porte e io piango. Piango perché mi danno fastidio le urla, piango per provare a farli smettere attirando l’attenzione su di me, piango ma sembro invisibile, cosa ho fatto di male?

Continuano come se nulla fosse mentre io resto ancora là terrorizzato, loro pensano che io non capisca invece queste urla me le porterò per sempre come quelle scene nella mia mente, sarò adulto ma quelle voci non finiranno mai di rimbombare nelle mie orecchie.

Non voglio diventare grande

Era il 1987, nascevo io e nasceva, neanche a farlo apposta, uno dei film che avrei visto di più e con più piacere, “Da grande”, interpretato dal grande Renato Pozzetto, una pellicola sempreverde tanto che è uscita l’anno scorso al cinema reinterpretata da diversi protagonisti.

Un bambino, stanco di non essere ascoltato dai genitori, esprimeva il desiderio di diventare grande, desiderio che veniva accolto, si trovava dunque nei panni del grande pur ragionando ancora come un piccolo ma alla fine del film puntualmente si pentirà di aver affrettato i tempi.

Sì, perché diciamocelo francamente, essere grandi non è affatto così stimolante mentre essere piccoli, per usare un gergo giovanile, è proprio una figata.

Curiosi, sorridenti, smaniosi di imparare, affettuosi, baci e abbracci, urla di felicità, i piccoli si accontentano di poco e ti costringono a tirare fuori il tuo lato bambino, aspetto che può anche salvarti la vita.

Cosa ci è successo crescendo? Perché abbiamo perso tutto quel patrimonio stupendo che il Creatore ci ha donato? Dove è la nostra spontaneità? Che persone siamo diventate inseguendo le nostre futilità?

I figli ti insegnano che essere bambini è davvero pazzesco, ecco perché quando mi trovo davanti un bambino che si lamenta perché vuole diventare grande, perché non gli è concesso niente, perché i grandi possono fare tutto…gli dico con un sorriso che “il mondo è dei piccoli” e che crescere non è poi così tanto bello.

In ogni caso dipende da noi, dalla capacità di salvaguardare il bambino che abbiamo dentro: lo perderemo, ma dobbiamo essere in grado di ritrovarlo sempre, di fare gli scemi, di ridere a crepapelle e incuriosirci per ogni cosa, di assecondare noi stessi, di abbracciare e baciare i nostri cari, di essere felici.

“Non voglio diventare grande”, posso dirlo anche adesso che grande lo sono già diventato?

Vorrei essere nei tuo sogni

Ti vedo, quando salgo a letto dopo una serata di lavoro, pacifica, immobile, beata.

Vorrei essere nei tuoi sogni per capire cosa ti porta tutta questa beatitudine, forse stai giocando anche lì col tuo giocattolo preferito, ridi a mamma e papà, batti le manine, continui la tua meravigliosa giornata ricca di entusiasmo.

Vorrei essere nei tuoi sogni per reimparare ad essere felice e tranquillo, a godere delle piccole cose, a stare in pace con me stesso.

Vorrei essere nei tuoi sogni per riafferrare quella magia dell’essere piccoli, per imparare tutto di nuovo, come fosse la prima volta.

Vorrei essere nei tuoi sogni, anche un puntino nascosto e buio, per godermi la scena da spettatore.

Vorrei essere nei tuoi sogni quando il male si presenterà puntuale, per capire cosa provi quando ti svegli piangendo.

Vorrei essere nei tuoi sogni per affrontare chiunque e qualsiasi cosa possa turbare la tua serenità, la tua aura meravigliosa.

Vorrei essere nei tuoi sogni per non lasciarti mai, neanche quelle poche/tante ore di sonno che ci separano

La solitudine dei guerrieri in ospedale

La mia stanza chiusa a chiave, intatta, come quel giorno in cui sono stata costretta a lasciarla.

Ospedale, all’inizio dovevano essere solo controlli, poi è stata malattia, poi degenza, pareti bianche, umore nero.

Era tutto nuovo, tutto così strano, diverso, una televisione divisa con la compagna di stanza, scuola la mattina, ritrovarsi nei corridoi a parlare del mondo fuori, dei sogni, di passato ma anche di futuro.

Capelli pochi, sorrisi pochi, forse all’inizio, nell’inconsapevolezza che si trasforma in fatalità, uno-due-tre giorni- poi settimane, mesi, tra miglioramenti, peggioramenti e terapie che stroncherebbero un elefante.

E poi c’eri tu, amico, volontario, con quel camice e la voglia di metterti in gioco, una fucina di idee, il tempo passava veloce e liscio tra giochi da tavolo, disegni, film guardati insieme, battute.

Parlavamo del più e del meno, eri diventato mio confidente, aspettavo tutti i giorni le 16.00 per raccontarti qualcosa, che poi cosa ti potevo raccontare che non facevo niente?

Poi è arrivato il tornado Covid che ha spazza tutto, tutti chiusi a casa, io rimanevo chiusa in ospedale, tu non potevi venire più, te l’hanno proibito, nessun volontario e noi che già eravamo soli, ci siamo sentiti ancora più soli.

Un anno, poi due, sono uscita e poi rientrata in ospedale, adesso mi trovo qui ma tu ancora non ci sei, le regole sono cambiate ma la solitudine è rimasta la stessa.

Guardo la finestra, dove sei mio compagno di giochi?

Il mostro, il bambino e il “ti vorrei conoscere”

Telefonino nuovo fiammante, d’altronde ce l’hanno tutti i miei compagni, mancavo solo io.

I nuovi profili sui social, internet, un mondo fantastico pieno di cose diverse, i giochi, whatsapp con gli amici, le tante sfide da vincere.

Il tempo passa che nemmeno me ne accorgo, sono un piccolo bambino pieno di sogni e questo telefono mi permette di realizzarli: veloce, luminoso, splendido.

Mi arriva un messaggio, poi due, tre, sono i miei compari che mi fanno le richieste di amicizia, poi c’è l’amico del mare che non vedevo da tanto tempo, che bello Facebook, posso incontrare virtualmente un sacco di amici.

Mi contatta una persona che non conosco, forse non ricordo, ho tante cose a cui pensare! L’immagine del profilo è un prato con dei fiori, mi dice che vuole parlare con me, io sono sempre aperto a nuove amicizie.

Mi chiede quanti anni ho, che cosa faccio, dove abito, io clicco, scrivo, rispondo e il tempo passa. Forse è uno sconosciuto e lo dovrei dire alla mamma, ma stiamo parlando dietro uno schermo, non facciamo nulla di male.

I giorni passano, lui mi chiede sempre più cose specifiche, cose strane, mi chiede se mi piacciono i ragazzi o le ragazze e poi altre cose particolari. Io ci penso, non mi è mai capitato, ma rispondo, così passo il tempo, sempre meglio di studiare!

Poi quel pomeriggio arriva una richiesta che mi confonde, lui scrive “ti vorrei conoscere” io mi fermo un attimo e adesso che faccio?

Mia mamma e mio padre sono di là a litigare come sempre.

Sono una bambina normale in un mondo anormale

Che bello il sorriso di mia madre, mi fa compagnia tutto il giorno. Che bello quando torna mio padre dopo una lunga giornata di lavoro, non aspetto altro che vederlo!

Tutto incredibilmente semplice, tutto regolare, la felicità di una bambina come tante altre ma più fortunata di molte altre ancora, altrove ci sono piccoli che muoiono di fame, alcuni sono anche in guerra, mamma mia come deve essere brutto!

Poi un giorno il telegiornale, un virus che ci costringe a stare a casa, tutti con naso e bocca coperta, tutti uguali, non posso più vedere tanto facilmente il sorriso di mia madre, non posso giocare più con i miei cari compagnetti.

Ma le cose brutte, per fortuna, prima o poi finiscono e tornano le cose belle come una giornata di sole, la libertà di correre con la mia migliore amica, un viaggio con mamma e papà. Il virus sembra ormai sempre più lontano, in televisione adesso solo cartoni e non brutte notizie.

Mamma e papà adesso si agitano, di notte ho sentito dei botti, fuochi d’artificio probabilmente, hanno preparato due borsoni e siamo scappati insieme ad altre persone dentro la metropolitana, spero sia un gioco ma sorrisi non se ne vedono più.

Adesso i botti sono più frequenti, adesso so che sono bombe, so che la Russia ci fa la guerra ma io non riesco a capire perché degli uomini possano volere la morte di altri uomini.

Penso alla mia cameretta, ai quaderni pieni di scritte, alle mie bambole, di giorno scappo lontano da tutti e torno a guardare il sole, mentre tutto intorno è pieno di silenzio e paura mi avvicino al mio palazzo, guardo da sotto la finestra quello che è il mio mondo mentre vedo un aereo sfrecciare sopra la mia testa.

Sento le urla, torno da mamma e papà, loro sono tutto quello che ho in questo momento e nessuna guerra potrà mai far svanire l’amore che nutro nei loro confronti.

Sono solo una bambina normale in questo mondo sempre più anormale.

Perché i bambini?

Vittime delle scelte dei genitori, biglie impazzite gestite dai grandi, bersagli inspiegabili di malattie e crudeltà, perché i bambini?

Un viaggio in una barchetta piena di falle, in mezzo a una quantità infinita di gente. “Mamma che succede?”, nessuna risposta, sia perché il genitore non sa che dire, sia perché la maggior parte delle volte il genitore non c’è.

Una stanza di un ospedale in pieno centro città, i corridoi pieni di disegni, colori accesi che contrastano il pallore di piccoli visi increduli, si chiedono perché mentre i loro cari si strappano la pelle pensando “dovevo esserci io al suo posto”. La malattia si gode la scena, subdola

Bombe, non è un gioco. La tranquillità non esiste, non ci sono certezze, i bambini piangono perché gli adulti fanno la guerra, si chiedono perché, la loro ingenuità non può arrivare a concepire tutta questa violenza, in nome di cosa poi, se si finisce tutti in un fosso?

Sesso e bambini, fa già schifo così. Un orco posseduto dalle sue pulsioni manipola psicologicamente povere creature, tornano a casa e provano a raccontare quanto accaduto, “hanno troppa fantasia”, non vengono creduti.

Schiaffi, pugni e calci, sono solo un piccolo bambino che ha fatto i capricci, adesso mi fa male tutto. Mio padre dice che devo imparare la lezione, ma io ancora questa lezione mica l’ho imparata.

Questo e molto altro in questo mondo assassino, che continua a macinare inspiegabilmente i più deboli.

E non resta che domandarci: “Perché i bambini?”

La guerra negli occhi e la pace nei sogni

“Uno, due, tre, quattro, cinque”, conto i secondi di quiete, quelli in cui vivo veramente una vita normale, una vita tranquilla, una vita da bambino. Stavolta me ne hanno concessi 5 prima di sentire un botto, una bomba, uno sparo, sto dentro questa casupola ma potrei anche stare fuori, nono sono sicuro da nessuna parte.

Mio padre mi ha detto che il destino è una ruota che gira, prima o poi prende tutti, io vorrei che questa ruota mi lasciasse ancora un po’ in pace, sono piccolo, ho appena 10 anni e nella testa ho mille idee da portare a termine.

Avrei voluto sentire anche mia madre, come la pensava su questa ennesima ripresa della guerra, ma lei me l’hanno portata via con una bomba, è esplosa in un attimo, come un bersaglio privo di amore e sentimenti.

Sono piccolo, forse troppo per vedere e sentire tutto questo errore, ho pianto tanto, ho chiesto perché al mio Dio. Perché sono nato in questo lembo di terra, perché qui e non altrove, perché ci sono posti dove il pensiero più grande per un bambino è scegliere il gusto del proprio gelato.

Ad ogni modo sono qui, le lacrime sono finite, sono un Uomo a 10 anni, forse mi chiameranno presto a combattere, ma combattere poi per cosa? Perché degli esseri umani decidono di farsi così male vicendevolmente?

“Un, due, tre, quattro, cinque, sei”, arrivo fino ad un minuto, mi prendo di coraggio ed esco, escono pure i miei amici, quelli che sono rimasti, quelli che non sono scappati o saltati in aria in un secondo. Faccio segno a mia sorella, è più piccola di me e ha il diritto di rimanere ancora un po’ bambina, ha nelle mani una bambola di pezza tutta deformata, la proteggerò sempre e per sempre, almeno una in questa famiglia deve poter sognare.

Farà la dottoressa, ne sono sicuro, già sa prendersi cura di noi con il suo amore e con la sua dolcezza, la ruota non colpirà anche lei, io ormai a 10 anni sono già nel giro, per me non c’è più niente da fare.

Le sussurro di scappare, che qui non c’è alcuna speranza per lei, quando uno scoppio mi spacca le orecchie e sventra un ammasso di macerie poco distante tra noi. In qualche angolo più civile del globo, dei bambini ben vestiti e ben lavati stranno guardando queste cose in un telegiornale.

Nessuno fa niente per noi, siamo come criceti che girano sempre dentro la stessa ruota, la guerra crea dipendenza nell’essere malvagio, io di questa dipendenza farei volentieri a meno, ma sono Uomo e presto dovrò fare la mia parte.

Cala il giorno, non si vede più niente, siamo ancora più in pericolo. Chiudiamo i nostri occhi e giungiamo nell’unico posto in cui siamo davvero al sicuro: nei nostri sogni.

Volevo fare un figlio ma…

Volevo fare un figlio ma non ho avuto né la forza né il coraggio.
Volevo fare un figlio ma ho difficoltà a sfamare me e la mia compagna.
Volevo fare un figlio ma sono disgustato da questa società, dove lo catapulterei?
Volevo fare un figlio ma, se è sensibile come me, è fregato e marchiato a vita.

Bullismo, femminicidio, violenza, povertà d’animo, esteriorità, apparenza, fama, denaro, successo, è un mondo di pazzi questo dove dovrebbe crescere.

Amore, sintonia, matrimonio, due corpi un’unica storia, una vita da passare insieme.
Le grandi famiglie, i fratelli che trovano conforto nelle sorelle e viceversa, storia e tradizione italiana, le domeniche delle grande tavolate. E poi tanti cugini, zii, il Natale passato insieme, il continuo confronto, la cinghia tirata per sfamare quattro-cinque bocche. Decenni che si susseguono e che impoveriscono la nostra Italia dove non si fanno più figli. Dove è finito tutto questo?

Volevo fare un figlio ma devo pensare a me.
Volevo fare un figlio ma non sono pronto per rispondere alle sue domande.
Volevo fare un figlio ma ogni notizia del telegiornale è una pugnalata.

Siamo il popolo del volevo fare un figlio ma anche del:

Volevo fare un figlio ma non voglio rinunciare alle mie libertà.
Volevo fare un figlio ma non sono pronto a ricevere così tanto amore.
Volevo fare un figlio ma non voglio che erediti le mie paure e le insicurezze.

Volevo fare un figlio ma… l’ho fatto, sarà fonte di gioia e affetto,  portatore sano di buoni valori, essere umano altruista, inciderà con le sue buone azioni, col suo cuore, con la sua voglia irrefrenabile di vita. Risucchierà le energie dalla parte buona del mondo.

 

Crolla la mia scuola e non capisco perché

Il bacio della mamma ogni mattina, caldo, come quelle coperte che mi riscaldano da questo freddo intenso. Sarebbe un trauma risvegliarsi se non ci fosse quello schiocco di labbra, basta poco per essere felici.

Mi aiuta a vestirmi, sceglie gli abiti con cura, oggi sono tutta colorata, porterò allegria ai miei compagni di classe. Devo percorrere un piccolo tragitto in macchina dove ascolto le mie canzoni preferite insieme a papà, momenti intensi che viviamo solo noi due, insieme, prima di rivederci la sera.

Suona la campanella, puntuale come ogni mattina, adoro il mio banco e la mia compagnetta Marzia, la nostra “piccola casa” è già pronta tra portacolori, quaderni e caramelle nascoste qua e là, siamo golosone!

La maestra disegna alla lavagna, il sonno mi è passato ed è stato sostituito da un entusiasmo che non riesco a frenare, mi piace imparare, a pranzo racconterò tutto questo alla mia sorella più grande!

Tutto normale, tutto uguale, ma se una cosa ti piace perché cambiarla? Sì, va bene, mi piace anche quell’antipatico di Valerio, ma sono troppo piccola per pensare a queste cose!

Tempo di ricreazione, giochiamo in palestra, fa freddo ma ci scaldiamo subito con la palla, abbiamo vinto anche questa volta, chi batte il team delle invincibili?

Siamo tornati in classe, le ultime due ore prima di riabbracciare la mamma, non vedo l’ora, di pomeriggio mi ha promesso che mi porta al negozio a comprare quel gioco!

Sto parlando con Marzia ma ad un certo punto non capisco più niente, un rumore assordante, crolla tutto, non vedo più la mia amica, la maestra, le mie cose, che succede?

Qui è tutto buio, sento gli altri bambini che si lamentano, che scherzo è mai questo? Mi fa tutto male, aiuto, aiuto!

Devo riuscire a parlare con mamma, con papà, ho tante cose da dire a loro, tante sono le cose da fare, ieri non mi sono comportata proprio bene, non può finire così!

Sento delle voci, persone che si muovono, ci chiamano ma io non ho la forza di parlare. Ero a scuola, nel “posto più sicuro del mondo“, la mia seconda casa, adesso dove sono finita?

Ispirato alla tragedia di San Giuliano di Puglia dove, il 31 ottobre 2002, morirono 27 piccoli angeli ed una maestra.