La mia stanza chiusa a chiave, intatta, come quel giorno in cui sono stata costretta a lasciarla.
Ospedale, all’inizio dovevano essere solo controlli, poi è stata malattia, poi degenza, pareti bianche, umore nero.
Era tutto nuovo, tutto così strano, diverso, una televisione divisa con la compagna di stanza, scuola la mattina, ritrovarsi nei corridoi a parlare del mondo fuori, dei sogni, di passato ma anche di futuro.
Capelli pochi, sorrisi pochi, forse all’inizio, nell’inconsapevolezza che si trasforma in fatalità, uno-due-tre giorni- poi settimane, mesi, tra miglioramenti, peggioramenti e terapie che stroncherebbero un elefante.
E poi c’eri tu, amico, volontario, con quel camice e la voglia di metterti in gioco, una fucina di idee, il tempo passava veloce e liscio tra giochi da tavolo, disegni, film guardati insieme, battute.
Parlavamo del più e del meno, eri diventato mio confidente, aspettavo tutti i giorni le 16.00 per raccontarti qualcosa, che poi cosa ti potevo raccontare che non facevo niente?
Poi è arrivato il tornado Covid che ha spazza tutto, tutti chiusi a casa, io rimanevo chiusa in ospedale, tu non potevi venire più, te l’hanno proibito, nessun volontario e noi che già eravamo soli, ci siamo sentiti ancora più soli.
Un anno, poi due, sono uscita e poi rientrata in ospedale, adesso mi trovo qui ma tu ancora non ci sei, le regole sono cambiate ma la solitudine è rimasta la stessa.
Guardo la finestra, dove sei mio compagno di giochi?