La solitudine dei guerrieri in ospedale

La mia stanza chiusa a chiave, intatta, come quel giorno in cui sono stata costretta a lasciarla.

Ospedale, all’inizio dovevano essere solo controlli, poi è stata malattia, poi degenza, pareti bianche, umore nero.

Era tutto nuovo, tutto così strano, diverso, una televisione divisa con la compagna di stanza, scuola la mattina, ritrovarsi nei corridoi a parlare del mondo fuori, dei sogni, di passato ma anche di futuro.

Capelli pochi, sorrisi pochi, forse all’inizio, nell’inconsapevolezza che si trasforma in fatalità, uno-due-tre giorni- poi settimane, mesi, tra miglioramenti, peggioramenti e terapie che stroncherebbero un elefante.

E poi c’eri tu, amico, volontario, con quel camice e la voglia di metterti in gioco, una fucina di idee, il tempo passava veloce e liscio tra giochi da tavolo, disegni, film guardati insieme, battute.

Parlavamo del più e del meno, eri diventato mio confidente, aspettavo tutti i giorni le 16.00 per raccontarti qualcosa, che poi cosa ti potevo raccontare che non facevo niente?

Poi è arrivato il tornado Covid che ha spazza tutto, tutti chiusi a casa, io rimanevo chiusa in ospedale, tu non potevi venire più, te l’hanno proibito, nessun volontario e noi che già eravamo soli, ci siamo sentiti ancora più soli.

Un anno, poi due, sono uscita e poi rientrata in ospedale, adesso mi trovo qui ma tu ancora non ci sei, le regole sono cambiate ma la solitudine è rimasta la stessa.

Guardo la finestra, dove sei mio compagno di giochi?

“Finalmente la luce: Silvia è tornata, Silvia è libera!”

Sono qui con i miei bambini, nel mio habitat naturale, sto facendo del bene, volontariato, una parola ormai tatuata sulla pelle, il mio modo di vivere. Sfodero il mio bel sorriso, la vera chiave per aprire le porte della felicità, contagioso e coinvolgente, di quelli che influenza positivamente gli altri.

Un’armonia comune, quasi una magia, ci si diverte con poco, con bambole di pezza e pezzi di carta che fungono da palloni, ci si nutre dell’essenziale, un poco d’acqua e poco cibo nutriente, si va avanti giorno dopo giorno non dando nulla per scontato.

Un giorno di novembre si è spenta la luce, mi hanno preso e portata lontano da quel mondo magico, mi hanno rinchiuso, rapito, poi proprio a me, chissà perché… Non mi sento una persona speciale, fare del bene è una missione di vita, senza assecondare questo modo di essere mi spengo.

I giorni passano lenti, mi aggrappo ad una speranza, ai ricordi di quei bambini, di quei sorrisi, penso alla mia famiglia, al mio Paese, si staranno preoccupando per me? I miei aguzzini non hanno quella luce speciale che illumina chi fa del bene, sono positiva di natura ma mi interrogo, cosa mi riserverà il futuro?

Voglio rendere felici le persone accanto a me ma stando segregata qui non posso farlo, anzi sto dando una gran pena ai miei cari, sto rovinando le loro giornate, magari persone che neanche conosco si sono affezionate a me, sarò finita nelle prime pagine dei giornali e in ogni edizione del tg, ma non per una buona azione, bensì per il mio rapimento.

Sono stata rapita e non so nemmeno da quanto, non ho un calendario, un orologio, sarà passato un anno, un lunghissimo anno senza la mia vita, rido a me stessa e penso a quello che farò dopo, a come recupererò il tempo perduto.

Stamattina mi sono svegliata bene, ha una strana carica, mi sento energica eppure è la solita giornata, rido ancora a me stessa e mi faccio forza, i miei rapitori aprono la porta e vedo finalmente la luce, Silvia è tornata, Silvia è libera, tornerà a fare del bene ancora, anche se questo mondo le ha voltato bruscamente le spalle.

Dedicato a Silvia Romano, la volontaria rapita e liberata dopo un anno e mezzo in Kenya.

9) Resto a casa: i piccoli gesti fanno la differenza

Una colazione preparata prima del risveglio del tuo amore, una battuta inaspettata in un momento di tensione, la canzone preferita che scuote dal torpore, la mano tesa ad un vicino che a stento conoscevi.

Sono i piccoli gesti che fanno la differenza, sono le azioni quotidiane e spontanee che possono essere la salvezza in questo periodo complicato. No, non le progetti, nessun piano, ti viene di farle e le fai, anche se la tua mente magari prova a sabotarti con concetti come “ma che vergogna” o “gli altri cosa penseranno di me”.

E tu cosa pensi di te mentre fai quel gesto? Non ti senti meglio? Non credi, in questo modo, di contribuire ad un mondo migliore? Abbiamo costruito castelli attorno al concetto di società, al come si dovrebbe fare, al come si dovrebbe stare, cosa ci ha portato tutto questo?

Allora ben vengano le immagini che in questo periodo ci riscaldano il cuore: un uomo che dà da mangiare ad un cane del balcone sopra, la beneficienza di tante aziende, ancor meglio se silenziosa, pane e pasta comprate al vicino nullatenente, un occhiolino spontaneo tra una mascherina e un paio di occhiali. Ben vengano le canzoni improvvisate e non frutte di mero esibizionismo, l’inno d’Italia che unisce tutti nel medesimo dolore, una fetta di ciambella donata, a debita distanza, dal pianerottolo.

Siamo italiani, generosi nel dna, recuperiamo la nostra genuinità, la nostra essenza, riusciremo a vivere al meglio questa quarantena.

Resto a casa: i piccoli gesti fanno la differenza.

Il nastro dei sogni e le forbici della speranza

Immaginate un paio di forbici e un nastro, a cosa pensate se non ad un’inaugurazione, all’inizio di qualcosa? Prendete un piccolo guerriero che in quei luoghi c’è stato, ha combattuto ed ha vinto, celebratelo col suo nome, Simone, fatevi raccontare da lui da quanto calore è stato avvolto, quanta forza ha tratto da quel luogo colorato.

Le Lega Ibiscus Onlus, Lega per la ricerca ed il trattamento della Leucemia e dei Tumori infantili, ha raggiunto un altro straordinario traguardo, l’ampliamento della sua ludoteca, una possibilità in più per offrire svago e riparo gratuito a famiglie e bambini colpiti dal dramma del tumore.

Simone ha finalmente avuto il suo momento di gloria, la vita gli ha consegnato il suo meritato paio di forbici, per dare ad altri bambini la stessa possibilità di sognare, in una piccola oasi felice in quel di Via Santa Sofia a Catania.

Si può fare festa e anzi si deve fare festa, per i genitori che non mollano mai, per i volontari che ci sono sempre, per i medici e infermieri che continuano a crederci e soprattutto per i bambini a cui non si può chiedere di perdere il sorriso.

Una ludoteca più grande corrisponde ad una maggiore possibilità di sognare, una semplice forbice separa la realtà dal sogno. Tutti possiamo tagliare, basta un semplice gesto, bastano le nostre azioni quotidiane, basta mettersi in gioco, donando il nostro tempo, il nostro buonumore e anche i nostri soldi.

I piccoli guerrieri ci ricordano che non possiamo mai smettere di sognare, la Lega Ibiscus, con le sue attività, ci fa capire che si può sempre migliorare e che la solidarietà è il motore più potente che ci sia. Risolve problemi pratici laddove le istituzioni stentano, muove il mondo dalle fondamenta, nobilita il territorio dove risiede.

Il segreto? Nella semplicità, nelle azione quotidiane, nei sacrifici. L’elemento imprescindibile? Un bambino come Simone, l’esempio che dona la forza per andare avanti, più forti e compatti di prima, perché dare quotidianità e serenità ai nostri piccoli eroi è un dovere di tutta la società.

E adesso tocca a noi, prendiamo le nostre forbici e cominciamo a tagliare il nastro che ci separa dal mondo dei sogni, qui dalle parte di Ibiscus hanno capito come si fa già da un po’….

 

La bellezza dei ragazzi “Ibiscus”

Dieci anni e passa di volontariato nei reparti di oncologia pediatrica, ne ho visti tanti, forse troppi, perché non puoi proprio abituarti al binomio bambino-malattia. Alcuni di loro li avrò sicuramente incontrati, immagini nella memoria, sorrisi nella sofferenza e storie da raccontare.
Lo scorso weekend sono stato protagonista di un sogno, no, non per il ruolo che ho ricoperto nella “Winners Cup” di Milano, allenatore (in seconda) di una squadra che sapeva già benissimo il fatto suo, ma per lo spettacolo che mi sono goduto “da dentro”.
Dodici ragazzi, un unico obiettivo, divertirsi, senza animosità, con spirito di fratellanza vera, nulla “di circostanza”, solo grande genuinità, nei rapporti, nei sorrisi e anche nelle difficoltà. Dodici ragazzi che hanno vinto il male più grande, che fai fatica anche solo a pronunciarlo, e poi altri dodici, altri dodici e altri dodici ancora, a rappresentare i centri di oncologia pediatrica di tutta Italia. La nostra squadra portava trionfate il logo della Lega Ibiscus Onlus, associazione dei genitori di Oncoematologia Pediatrica della Sicilia Orientale.

I sorrisi ma anche le lacrime, senza vergogna, davanti alle storie di chi sta combattendo la stessa battaglia, il tutto in una cornice da sogno, il centro sportivo dell’Inter, squadra di “campioni” a disposizione di questi “campioni della vita“.
L’entusiasmo di un autografo dal vicepresidente dell’Inter Javier Zanetti, le strette di mano con gli avversari, gli abbracci, la mano protesa dopo una caduta sul campo di gioco, tutte cose che ci siamo disabituati a vedere, specie in uno sport sempre più disinteressato ai sentimenti come il calcio.

Il risultato del campo è già scritto, indipendentemente dalla classifica, è vittoria su tutti i fronti, perché quando a trionfare è la vita non ci sono primi e secondi.
Il goal è già stato fatto, con un destro secco all’angolino, ma c’è sempre tempo per pensare agli altri, per un assist al compagno in difficoltà, nessuno è lasciato solo nella sua strada verso il successo.

Mi sento un privilegiato che ha fatto un bagno nel “mare dell’umanità”, un ragazzo di 31 anni che non smetterà mai di rimanere a bocca aperta davanti a cotanta bellezza.

Non lasciamola vinta a questo mondo di merda!

Un femminicidio al giorno, se tutto va bene, se siamo fortunati.
Sei alla fermata del tram e ti spaccano la testa, senza motivo, come se ci fosse un motivo, comunque, per spaccare una testa.
Professori settantenni che seducono giovani alunne sfruttando la loro posizione di vantaggio.
La sede di “Save The Children” attaccata in Afghanistan. Sì, proprio il rifugio di chi si impegna per dare speranza a bambini già abbastanza bersagliati dalla vita.

Preti pedofili, sì proprio quelli che dovrebbero instillare nei giovani messaggi di pace e amore.
Politici corrotti, molestie sul lavoro, giornalisti presi a pietrate perché stanno documentando la merda che c’è in giro. Mafia di qua, mafia di là, 100 arresti al giorno e poco cambia.

Ripartiamo da qui, c’è tanta merda in giro, inutile usare giri di parole, inutile cercare termini più blandi. Prima i giovani avevano un sogno adesso hanno un coltello in mano, girano le baby gang e seminano il terrore. Hanno fallito le famiglie, la Chiesa, le scuole e lo Stato.
No, non possiamo lasciare perdere, non possiamo rassegnarci, anche se vedere il telegiornale è una pugnalata al cuore, più forte, ogni giorno.

Affidiamoci agli eroi, alle mosche bianche, ai magistrati che combattono il male, ai volontari in zone di guerra, ad una famiglia unita fondata su valori sani. Affidiamoci alla normalità che nel mondo di oggi rappresenta la vera follia. Affidiamoci a chi trasforma le difficoltà in spinte per migliorare l’umanità, non smettiamo di essere esempi positivi per la parte sana che ancora resiste.

Non lasciamola vinta a questo mondo di merda!

 

L’ospedale del sorriso

Metti un luogo triste, l’ospedale. Aggiungi l’espressione massima della felicità, un bel sorriso spontaneo. Prova ad unirli e vedi cosa ne esce fuori.
Anche la sofferenza può essere anestetizzata da una risata, persino la malattia può essere esorcizzata col buonumore. Nessuno vuole sminuire niente, nessuno vuole trascurare lo sgomento davanti ad un bambino malato di cancro. Ma la sofferenza non può averla vinta su tutto: sulla spensieratezza di un piccolo ribelle, sulla splendida ingenuità di una ragazza adolescente, sulla inguaribile voglia di sognare di un ragazzo alle prime armi della vita.

L’ospedalizzazione del bambino è un tema importante. I piccoli eroi passano intere giornate, mesi, a volte anni, nei reparti. Entrano carichi, poi sono spaesati, per certi periodi si spengono, si aggrappano con le unghie e con i denti alla loro voglia di giocare, rivendicano il loro diritto di essere bambini. Spensierati, maledettamente affascinanti, con un sorriso che non accenna a spegnersi. La malattia è lì ma un tizio sorridente, col camice e il naso da clown li accende all’improvviso. L’indomani potrebbero non svegliarsi o ricevere la notizia più bella della loro vita ma il gioco non può aspettare, il sorriso reclama il suo spazio.

Insegnano storie ai più grandi, lezioni di vita racchiuse nella semplicità, spunti grandiosi per diventare uomini migliori. Ti ci affezioni, loro si affezionano a te ma devi mantenere una piccola distanza, per te, per loro, per il bene di tutti.
Il sorriso tiene accesa la speranza, la speranza tiene alta la guardia sulla malattia. Certe cose le puoi decidere tu, altre dipendono dal destino, ma lo spirito può fare tutta la differenza di questo mondo.

Tutti meritiamo un sorriso, anche in ospedale, anche quando tutto non ha un senso, per questo ho deciso di scrivere “Cellule Impazzite”. Una storia che fa bene al cuore, che risveglia la nostra sensibilità, di cui ci vergognamo troppo spesso.

Ve lo dice un volontario che va in reparto da dieci anni, ve lo dice chi è sempre più grato di poter stare accanto a dei piccoli guerrieri sorridenti.

Devo vivere per te

Devo vivere per te che intubato, paonazzo e senza respiro, non hai smesso un attimo di dispensarmi i tuoi sorrisi.
Devo vivere per te, che con una gamba acciaccata e col serbatoio di energie svuotato da una malattia illogica, non hai smesso un attimo di giocare
Devo vivere per te, una flebo al braccio migliore amica della tua giornata, nonostante la spensieratezza dei tui grandi occhioni azzurri.

Devo vivere per te, per i tuoi capelli che si sono nascosti in attesa di tornare più belli di prima.
Devo vivere per te, magro e pallido a rivendicare il tuo diritto a soffrire in santa pace.
Devo vivere per te, grande e grosso all’entrata, piccolo e fragile all’uscita.

Devo vivere per te, pazzo per la società, tremendamente affascinante nella tua creatività.
Devo vivere per te, gli occhi fermi e bui, la vista del cuore che apre nuovi orizzonti.
Devo vivere per te, che anche se down in inglese significa giù, mi hai fatto andare su, come in un ascensore supersonico

Devo vivere per te, ora ancor di più, sei andato in un mondo migliore ma non ti hanno chiesto il consenso.
Devo vivere per te, perché anche un ospedale può diventare il posto migliore del mondo.

Devo vivere per me perché tu lo hai fatto, fino alla fine.

Il volontariato allunga la vita

Volontariato, una parola che si usa e di cui si abusa. Dovrebbe essere un’azione silenziosa, quasi naturale, figlia dello scopo originario di ogni essere umano di aiutare gli altri ma spesso è sbandierata, serve come veicolo per accumulare potere, come vetrina per farsi belli agli occhi degli altri.
Credo però che il volontariato non debba essere tenuto per sé, credo che le belle azioni debbano essere diffuse, in modo da essere esempio per altri, in modo da avvicinare quante più persone possibili all’altruismo e alla fratellanza. L’importante è l’intenzione con cui ci approcciamo a esso e, anche se qualcuno dovesse fare un’opera di bene per un proprio tornaconto in termine di immagine, sapete che vi dico, basta che la faccia!

Il volontariato allunga la vita, perché l’uomo non è nato per essere egoista e se lo è prima o poi ne paga caro il prezzo.
Il volontariato allunga la vita delle persone cui prestiamo il nostro soccorso, il nostro tempo, il nostro affetto, impareggiabili, molto più preziosi di qualsiasi offerta di denaro.
Il volontariato allunga la vita perché se fai del bene prima o poi ritorna, sotto svariate forme e, anche se non ritorna, comunque si è fatto qualcosa per migliorare questa società.
Il volontariato allunga la vita perché chi lo fa incide sulla struttura di una società, di una Nazione, del mondo intero, anche in una parte infinitesimale.
Il volontariato allunga la vita perché una vita in cui veniamo ricordati per qualcosa che facciamo nella società e per la società, ci deve sembrare per forza più lunga.

Fate volontariato con i bambini malati e vedrete che ogni gioco non avrà neanche un quarto del valore della compagnia che gli state facendo.
Girate la sera per la città, avvicinatevi ad un senzatetto e dopo avergli dato coperta, cibo e bevande, mettetevi a parlare con lui, vedrete che di quel giorno si ricorderà solo l’amabile chiacchierata con voi.

Il volontariato allunga la vita, la vostra e quella delle persone a cui “prestate” il vostro tempo e il vostro cuore.

Il Natale dell’anima

Siamo arrivati, puntuali. Natale con tutte le sue luci e i suoi regali, le musiche, le strade affollate. Tutto bello, tutto molto bello ma oggi decido di parlare di un altro Natale, quello che si vive dentro ognuno di noi, prendiamola come occasione per fare qualcosa che abbiamo rimandato, per fare bene e farsi del bene.
A Natale non siamo tutti più buoni, a Natale c’è chi percepisce una solitudine acutissima, più che ogni altro periodo dell’anno. C’è chi rifiuta di festeggiare, chi non può godere della visita dei propri parenti nemmeno nel giorno “più caldo” dell’anno, c’è chi non può permettersi una tavola imbandita mentre magari, nella casa accanto, nello stesso momento, si buttano tegli e teglie di cibo.
La povertà e la solitudine non spariscono all’improvviso, il 24 e il 25, si fanno forti, pungenti. Un solo antidoto, visto che politica e aridità del mondo non riescono a ridare speranza: la ricchezza dell’anima.

Due chiacchiere con il solito barbone, accucciato nella solita coperta in quel gradino lercio e freddo, possono avere un effetto “clamoroso”, sia su di lui sia su di voi. Valgono più di cento coperte, di quattro teglie di lasagne, di acqua e vino che, comunque, fanno sempre piacere. Calore umano, questo sconosciuto, non costa nulla in termini economici, costa tanto internamente, crea sconquasso, terrorizza. Stiamo riprendendo contatto con la nostra parte più vera, ci mostriamo deboli, fragili, non possiamo permettercelo!
Quanto siamo cretini noi uomini! Facciamo di tutto per procurarci dolore, un genitore anziano aspetta la nostra visita un anno intero e accampiamo una scusa, anche a Natale. Gli amici sono più fighi, tanto l’anno successivo avremo tempo per recuperare.

Non facciamo i conti col destino, con Dio, con la vita, con il tempo che passa. Non cogliamo l’attimo. Col barbone ci parlerò domani, tanto è sempre lì, a mia mamma dirò ti voglio bene lunedì, tanto la vedo ogni giorno, andrò da mio nipote in ospedale la prossima settimana, tanto ha così tante persone che lo vanno a trovare!
Non capiamo quali benefici porterebbe anicipare i tempi, vampate di calore purissimo, contatto con la nostra parte più umana, tacche di speranza regalate ai nostri interlocutori e un mondo migliore. Facciamolo tutti e, a scacchiera, condizioneremo i nostri vicini, i parenti, i popoli, le genti di tutto il mondo.

Natale è il momento migliore, per sentirsi meno soli, per smetterla di farci tutti del male.
Che sia un Natale dell’anima e calore porterà calore.

Auguri a tutti!!